PRANDELLI E DELLA VALLE: RACCONTIAMO LA VERA STORIA DI UN LITIGIO (COME VI AVEVAMO PROMESSO)
L'avevamo promesso agli amici lettori di questa rubrica e adesso manteniamo. Adesso che i tempi sono sereni sotto il cielo viola, adesso che è opportuno raccontare alcuni fatti di cui fummo testimoni. Fatti che raccontammo, pagando un prezzo le cui "rate", a distanza di oltre due anni, non sono ancora terminate, anche a suo tempo. E' la storia di un saldo legame, quello tra Cesare Prandelli per alcuni anni allenatore della Fiorentina, e la Fiorentina dei Della Valle. Legame rotto clamorosamente con strascichi al veleno. Non ripercorreremo tutti i capitoli della storia: la mancata vendita di Mutu, almeno due sessioni di mercato sbagliate e alla meno, il dissidio tra allenatore e direttore sportivo, le presunte profferte juventine al tecnico viola, quello strano "via libera" (mai smentito) di Cognigni a Prandelli "mister se vuole si trovi un'altra squadra" datato Febbraio 2010, le punzecchiature a mezzo stampa che si scambiarono Prandelli e Ddv, il licenziamento improvviso di Silvia Berti, la dirigente più vicina a Prandelli, nel Giugno 2009. E all'epilogo il balletto di Prandelli che rifiuta la Nazionale, si dice disposto a rispettare l'ultimo anno di contratto e viene infine spinto con forza a fare un mestiere che tuttora non gli piace fare, quello del selezionatore azzurro. Le righe non ci basterebbero. E così la voglia, tra infinite dichiarazioni, particolari più o meno noti, disgrazie e meschinità di un bel rapporto mandato a ramengo dalla sfortuna, da qualche complotto di palazzo come l'arbitraggio di Ovrebo (a proposito il cartellino viola a Klose per favore no!), dall'usura del tempo e da quei sentimenti che irridono divorandole le vite degli uomini, anche dei migliori, l'invidia, l'ira, l'orgoglio. Ci fermeremo su un solo episodio, ignoto ai più, che sta alla base della frattura di un sodalizio che aveva portato glorie, meriti e successi sportivi. Un episodio lontano nel tempo, datato Giugno 2008. Poco tempo prima un allenatore di successo, Cesare Prandelli se n'era uscito con una dichiarazione lapidaria:" La Fiorentina? E' una società a due velocità". Per il mister viola la squadra correva veloce, mentre la società arrancava. Ne nacque un dibattito - chiamiamolo così - interno al club: allenatore da una parte, i dirigenti sotto accusa dall'altra. Prandelli coltivava una convinzione, che Diego Della Valle poco se non nulla sapesse delle cose fiorentine, di quel che accadeva in società. Era il Giugno 2008 quando venne convocato un vertice a Casette d'Ete, presenti Prandelli, Corvino, Mencucci e Cognigni. Poi, ovviamente, i fratelli Della Valle. Le cronache (segrete, sussurrate, poco conosciute finora) narrano di un foglietto piegato nella tasca interna della giacca di Prandelli, un pezzo di carta con richieste, osservazioni, rimostranze. I temi? Il ruolo di alcuni dirigenti, la capacità di altri, il mercato appaltato a Corvino. Diego Della Valle ascoltò impassibile con grande attenzione poi domandò a Prandelli che lavoro facesse, alla risposta "l'allenatore", ribattè a sua volta:" e allora faccia l'allenatore". Trai due non finì lì, volarono parole. Si chiuse così con amarezza reciproca l'intesa trai due. La proprietà continuò a investire, anzi quell'estate lo fece come non mai, ma Della Valle, già deluso dal mondo del pallone dopo Calciopoli, si allontanò ancora di più dalla sua Fiorentina. La splendida figura europea della squadra viola versione Champions ebbe il potere di allontanare il momento della resa dei conti. La tragica ed ingiusta serata di Fiorentina-Bayern chiuse con un tonfo il capitolo degli anni felici, precipitando l'ambiente viola nei mesi di stillicidio che avrebbero portato alla separazione tra tecnico e società. E successivamente nel biennio di autofinanziamento radicale, voragini di bilancio e grigiume sportivo, per fortuna archiviato proprio in mezzo alla scorsa estate con un cambio di rotta a 360°. In molti conoscevano, anche al tempo, questi fatti: dirigenti, giornalisti, alcuni tifosi. Raccontarli in quel clima era però tutt'altra faccenda. E difatti pochi trovarono il coraggio di farlo. Come spesso accade non è una questione di stipendio. O di posizione. Non di blasone. E neppure di belle lettere, scolarizzazione, fascino o carisma professionale. E' una questione d'amor proprio. Dignità. E attributi.
Stefano Prizio
giornalista di Radio Toscana e Squer.it