DELIO ROSSI... E LE "PORTE DEL PARADISO"
Una bella storia di calcio, non c'è che dire. Sopratutto in un momento nel quale di calcio si parla sempre meno, e spesso a sproposito. Nel quale termini come plusvalenza, bonus, ammortamento la fanno da padrone, dove il fatto tecnico viene relegato in secondo piano, gli stadi si svuotano e le curve vengono riempite da cartonati fittizzi. Nel quale, infine, l'ex domenica calcistica di Paolo Valenti comincia il venerdì e finisce il lunedì (ma solo perchè il martedì ed il mercoledì c'è la Champions League ed il giovedì se lo giocano coppa Italia ed Europa League). Calcio sette giorni su sette quindi, con buona pace di mogli e fidanzate. La bella storia ce la racconta Delio Rossi, uno che il calcio lo vive e lo lavora sul campo, al di fuori delle chiacchere, del gossip, dei tavoli della pace. Con Delio si parlava di giovani, delle soddisfazioni che si provano a tirare fuori nuovi talenti. Con un pò di rimpianto il mister viola ricordava quando allenava le giovanili del Foggia nel 1992, confessando il desiderio (un giorno) di tornare a rivivere quei momenti. Delio ricordava anche cosa aveva visto negli anni 70', al vecchio stadio Filadelfia di Torino, ed è lì che si sofferma a raccontare con una vaga espressione da sognatore... "Vedete, quando parlo di senso d'appartenenza penso ai giovani, a ragazzi che nascono e crescono nello stesso ambiente. Lì nasce il senso d'appartenenza. Di conseguenza si sviluppa anche il senso d'emulazione, con l'obiettivo di arrivare sempre più in alto, di migliorare, di partire dai giovanissimi per arrivare alla prima squadra. Ricordo che al Filadelfia negli anni 70' (era il Torino di Ferrini, Agroppi, Cereser, il Torino che continuava ad allenarsi in quello stadio ormai in disuso... ndr.) c'erano diverse porte che davano l'accesso agli spogliatoi. Curiosamente erano poste in ordine inverso: la prima era quella dei giovanissimi, poi c'era quella degli allievi, poi ancora la "primavera", per arrivare all'ultima... la porta della prima squadra. L'obiettivo di ogni ragazzo era ogni anno di "scalare" una porta, che voleva dire essere stato bravo, essere stato promosso. Se l'anno prima entravi nella porta dei giovanissimi e l'anno dopo in quella degli allievi voleva dire che avevi salito un gradino. Ma non basta... mentre ti spogliavi vedevi passare i campioni della prima squadra che andavano nel loro spogliatoio, nell'ultima porta, e per arrivarci passavano davanti a tutte le porte delle giovanili. Così si creava lo spirito d'emulazione, il pensiero era...un giorno anch'io passerò davanti a tutte le porte senza fermarmi, e andrò fino all'ultima, a quella dei "grandi". E cresceva lo stimolo a fare meglio, ad impegnarsi di più, a voler migliorare a tutti i costi. Ecco, quello era il modo giusto di allenarsi, di sentirsi parte di un progetto, quello sviluppava il senso d'appartenenza".
Devo dire che noi giornalisti siamo rimasti a bocca aperta, ed a me personalmente è venuto in mente quando, un paio d'anni fa, intervistai Mino Favini, responsabile tecnico delle giovanili (guarda caso) dell'Atalanta, e lo trovai a Zingonia (il centro sportivo dei bergamaschi) mentre assisteva all'allenamento. "Vede, io in questo momento sto guardando l'allenamento della prima squadra - mi disse Favini - ma allo stesso tempo vedo l'allenamento della "Primavera" e quello degli allievi. Sono tutti vicini, su tre campi confinanti, ed è un fattore fondamentale. Succede a volte che qualcuno si fa male, o deve uscire, ed il mister della prima squadra chiama uno della "primavera" per finire la partitella. Per lui è una grande occasione, tutti non aspettano che questo. Come potrebbe succedere se non si allenassero tutti insieme? E poi spesso i ragazzi delle giovanili li trovi attaccati alla rete a vedere i "grandi" allenarsi, cercando di carpire qualche piccolo segreto, osservando i loro metodi di allenamento". Mi scappava da ridere pensando ai mille luoghi nei quali si allenano le squadre della Fiorentina, dai giovanissimi alla prima squadra...altro che spirito d'emulazione... In qualche modo le due storie si somigliano, si sovrappongono. La prima si potrebbe chiamare "le porte del Paradiso", dove le porte sono quelle dei vari spogliatoi, tappe d'avvicinamento per il Paradiso, che si intende il professionismo, la prima squadra, la serie A. Alla base c'è una struttura che ha a cuore il settore giovanile, poi ci sono ragazzi che vogliono diventare grandi, che vogliono diventare campioni, che vogliono somigliare a quelli più bravi, e per fare questo li guardano, li osservano, anche solo quando passano davanti alla loro porta per andare all'ultima, nel loro spogliatoio... anche solo restando attaccati alla rete di recinzione del campo d'allenamento. Senso d'appartenenza, spirito d'emulazione, capisaldi di un calcio che non c'è più. Senza retorica, ma (ci perdonerete) con tanta nostalgia.