ROCCO VS STAMPA DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA
Questa settimana, invece di tuffarci a capo fitto nella ridda dei nomi per la panchina viola, una gara a chi lo piglia dicendoli tutti, non avendo commentato al momento, come hanno fatto tutti i colleghi o quasi, torniamo sui fatti di una settimana fa che hanno squassato l’ambiente gigliato: premesso che, come dicevano i nostri padri semel in anno licet insanire, ci pare comprensibile che un uomo, ex emigrante, possa risentirsi se gli vien toccata la famiglia.
E comunque andare a sfruculiare qualcuno sul nome, denota insensibilità umana oltre che giornalistica.
E anche ignoranza crassa perché quel nome, Benito appunto, negli anni ’20 era il nome del capo del governo italiano negli anni un governo che stava entrando nel periodo che gli storici definiscono ‘del consenso’.
Il capo del governo Mussolini, era considerato un grande statista in tutto il mondo, piaceva agli americani, era ammirato da Churchill.
Non v’era disdoro nel suo nome, anzi.
Ma anche la storia dello zio d’america, epiteto che a sua detta offende il proprietario del club viola, ci sembra un grande equivoco.
Infatti la definizione zio d’America ha un’origine precisa e non può essere considerata in alcun modo offensiva.
Infatti, vediamo chi fosse il vero e originale zio d’america.
Si chiamava Filippo Gagliardi, ed era un umile figlio di un mugnaio, partito, grazie ai soldi racimolati dalla madre Mariannina di nascosto dal marito, a quindici anni dalla sua Montesanto in provincia di Salerno, alla volta del Venezuela, era il 1927.
Gagliardi fece fortuna in America, ma rientrò in Italia solo nel 1954 e volle condividere quella fortuna coi suoi paesani, ai quali regalò un acquedotto e una chiesa, dedicata alla madre Mariannina che non aveva retto all’emozione di rivederlo ed era morta sul colpo, Gagliardi non beneficò solo Montesanto, ma anche i paesi vicini e donò 25 milioni di lire per soccorrere gli alluvionati del Polesine nel 1953 e 100.000 dollari per quelli del salernitano nel ‘54, inoltre finanziò mutui a decine di comuni italiani e aiutò tanti singoli cittadini, in pratica chiunque glielo chiedesse.
Di Filippo Gagliardi, si conserva appena la memoria forse a Montesanto, anche se meriterebbe fama nazionale, almeno quanto i personaggi delle famigerate isole e trasmissioni varie.
La memoria di questo grande e generosissimo italiano, rimane nell’espressione ‘zio d’America’ che vieppiù non può essere considerata denigratoria o offensiva, ma anzi sinonimo di generosità e altruismo, bontà di cuore, magnanimità, nobiltà d’animo.
Peraltro, in un paese a fortissima vocazione migratoria come l’Italia, gli zii d’America, furono più di uno: emigrati che fatta fortuna all’estero, tornavano in patria con le tasche piene e la mano generosa.
Ce ne furono in tanti luoghi d’Italia e in molte famiglie.
Persino nella mia, si ricorda lo zio Gaetano Prizio, migrato a New York nel 1911 e tornato al paese vicino ad Avellino, solo a fine anni ’50, col sigaro havana in bocca, di lui e della sua storia ho parlato nel mio ultimo libro ‘Mariniello’ ( e così pur essendo inelegante l’autocitazione da vecchia volpe del giornalismo sono riuscito a infilare nel pezzo la marchetta mi perdonerete).
E ancora in tema di equivoci: Rocco si è arrabbiato per le ‘falsità che ha letto in tema di calciomercato' ( Sarri accostato alla Fiorentina), ma il presidente dovrebbe sapere o qualcuno dovrebbe spiegargli, che il calciomercato sui media è puro infotainment (informazione coniugata all’intrattenimento), dove davvero non conta la veridicità, ma la verosimiglianza delle cosiddette ‘notizie’, è questo che vuole il pubblico e i media che in fondo confezionano un prodotto, come il tonno in scatola, la ceretta per i peli o una fiction tv, questo gli danno.
Tornando alla conferenza stampa tempestosa, ci pare che tra le disgrazie, sia meglio venir citati e attaccati in pubblico, con la possibilità di difendersi, rispondere a tono, piuttosto che venire citati in tribunale, per una richiesta danni mostruosa.
E tutto ciò sia detto da uno che non fu attaccato in conferenza stampa, dove almeno avrei reagito rispondendo per le rime e li avrei fatti uscire biondi, ma invece, una maledetta mattina di giugno del 2010, ricevette un plico, una raccomandata che annunziava la citazione in tribunale, da parte dei fratelli proprietari del club viola prima di Commisso, per un risarcimento di 500.000 euro, per un articolo uscito nel marzo precedente.
Chiudendo, su una cosa Rocco Commisso, ha piena ragione: la condanna del corporativismo (retaggio fascista) della categoria della stampa, sarebbe bene e più democratico, che i media si controllassero e semmai, nel caso smentissero l’un l’altro, nell’interesse della libera concorrenza, del pubblico e della verità, invece di tenersi sempre bordone e mai andare l’uno contro l’altro, in un coro monotono e triste che abbassa la qualità del prodotto e ammazza il talento dei giornalisti.
Ma chi dovrebbe rompere il sistema? Non i direttori dei giornali, grandi o piccoli che siano, i quali si scambiano i posti come nel gioco delle seggiole, non certo i precari che prendono 7 o 8 euro lordi ad articolo, non i giornalisti col posto garantito che preferiscono la cadrega al rischio di esporsi.
Semmai gli editori, i quali tuttavia fanno cartello e si giovano di un sistema che fa risparmiare loro quattrini.