MELO, Voglio convincere Dunga
La Bibbia come compagna di viaggio, un figlio chiamato Lineker e la passione per un'arte marziale, il Vale Tudo. «E' uno ju jitsu senza regole. Se non avessi fatto il calciatore ora sarei a combattere su un ring». Felipe Melo, l'uomo che ha fatto innamorare Firenze, è tutto una scoperta. Come Kakà è un atleta di Dio. E, con orgoglio, assicura di non avere sulla pelle neppure un tatuaggio. Su questo fronte il compagno Vargas vince 9-0. «La Bibbia dice che il corpo non va segnato, è sacro. E io vivo seguendo gli insegnamenti della Bibbia». Contro lo Slavia Praga ha recitato il doppio ruolo di regista (alla Liverani) e di trascinatore (alla Gerrard). Felipe, o semplicemente «Fil» come lo ha ribattezzato Prandelli, sorride: «Sono stato bravo? Allora, vi prego, inviate il filmato della partita a Dunga. Il mio sogno è di indossare la maglia della Seleçao ». Lui è nato a Volta Rotonda, nella regione di Rio de Janeiro. In Brasile ha vinto scudetti, ha avuto allenatori come Carlos Alberto Torres e Luxemburgo, ha giocato con Julio Cesar e Adriano. Ma non è riuscito a sfondare. Lo giudicavano bravino, non indispensabile. La Fiorentina, dopo una parentesi spagnola, è la vetrina che cercava. «Questa è una grande squadra, ora tocca a me compiere il salto di qualità. Qui ho trovato il calore di cui ho bisogno. I tifosi viola sono come quelli del Flamengo. Con la loro passione ti entrano nella pelle».
Leadership I vecchi in spogliatoio lo hanno subito adottato. Qualcuno addirittura voleva consegnargli la fascia da capitano. Ma certe sue entrate, degne di un maestro di arti marziali, hanno suggerito a Prandelli di orientarsi verso altri. Felipe si illumina parlando dei suoi compagni. «In questa Fiorentina ci sono tanti grandi calciatori. Più un fenomeno: Mutu». Nella gara d'andata del preliminare ha toccato mille palloni.
«Normale per un regista. Ed è normale che io parli molto. Chi sta in mezzo al campo deve guidare tutti. Sto cercando di imparare l'italiano. Però il mio italo-spagnolo-portoghese è comprensibile». Prandelli gli ha chiesto di semplificare il suo gioco. Più rapidità, meno dribbling. Lui sorride. «Il dribbling è il mio calcio. Ho personalità, non ho paura di sfidare l'avversario. Ora non ho ancora nelle gambe e nella testa la giusta velocità. Quando sarò in forma nessuno si spaventerà per i miei dribbling ». Bravo. Spavaldo. Felipe Melo frena solo quando gli chiedono se la Fiorentina ha già la Champions in tasca. «Il 2-0 è un risultato importante. Ma lo Slavia Praga lo scorso anno eliminò l'Ajax. A Praga ci sarà da lottare ». L'idea non lo spaventa. Appuntamento tra due settimane. Intanto ci sono due giorni di vacanza con la famiglia al completo. Felipe non vede l'ora di abbracciare il figlio. Già, Lineker. «Mio padre Josè era un grande ammiratore dell'inglese, attaccante di classe cristallina. Così ho deciso di chiamare mio figlio Lineker». Per l'altro, in arrivo, l'idea è di scegliere un nome più comune. Senza dover andare a sfogliare l'almanacco del calcio mondiale.