GILARDINO, A Milano non avevano più fiducia in me
L’anno del rilancio. Gilardino, cominciamo dal suo addio al Milan? «E’ stato inevitabile. Quando ho capito che non c’era più la fiducia era l’ora di cambiare aria». Ancelotti ha detto che considera un proprio fallimento non aver ottenuto da lei tutto quanto poteva dare. «E da parte mia c’è stato il dispiacere per come si è chiuso l’ultimo anno. La società e l’allenatore non mi hanno sostenuto con continuità mentre faticavo a trovare il gol e ho avuto l’impressione che a marzo avessero ormai deciso di non puntare su di me: infatti sono rimasto fuori nelle ultime 8 partite».
Al Milan avevano già gli occhi su Ronaldinho?
«Non lo so. Ma penso che avessero deciso che non ero più una punta di cui fidarsi».
Che effetto le fa essere sostituito dal brasiliano?
«Bello, no? Ovviamente è una battuta. Ronaldinho incarna l’ideale del Milan e del suo allenatore: spettacolo, bei numeri, bel gioco e fascino del personaggio».
Quando andò al Milan dopo i 24 gol nel Parma eravamo convinti che sarebbe esploso sui livelli di Kakà. Aveva tutto per dimostrarsi un fuoriclasse. E’ deluso di aver raccolto molto meno? «Anch’io pensavo che sarei migliorato moltissimo in una squadra così forte: pensavo di alzarmi più in alto anche se ho vinto una Champions, una Coppa Intercontinentale e la Supercoppa che saranno sempre un ricordo fantastico della mia esperienza».
Ancelotti sostiene che tatticamente lei patisce la vicinanza di un’altra punta e ha bisogno di essere il riferimento di ogni attacco, cosa che con Kakà o Seedorf è impossibile. E’ vero? «Mi piace avere accanto chi gioca per me o in base a miei movimenti. Può essere stato un problema ma al Milan ho segnato 19 gol il primo anno, 17 il secondo e 9 al terzo, nonostante tutto».
Quindi?
«Quindi significa che so adattarmi. Con Shevchenko ho segnato molto, con Toni al Mondiale mi sono trovato bene. In realtà penso che il Milan abbia cercato di farmi esprimere al massimo ma senza puntarci fino in fondo, come fa il Liverpool con Fernando Torres».
Forse perchè in Italia c’è diffidenza per i calciatori giovani? «Sono l’ultimo a poterlo dire. Ho esordito in A con Simoni e Braghin a 17 anni e da allora non ne sono più uscito».
E’ vero che lei è troppo sensibile?
«Penso che se tanti ragazzi lo fossero, forse le cose andrebbero meglio. Ho patito una certo ambiente a San Siro e la gente era influenzata dai giornali e dalle tv: forse mi manca la capacità che hanno altri di catturare la benevolenza di chi fa opinione».
A 26 anni si sente pronto a ripartire? «Ci credo. Ho scelto la società e le persone che più mi davano fiducia di poter giocare in una certo modo e di lavorare nella maniera che mi permise di emergere nel Parma».
Se avessero venduto Mutu alla Roma si sarebbe pentito della scelta?
«Mutu è stato una delle ragioni per cui sono venuto ma non la principale: la sua partenza avrebbe tolto un pochino di qualità e sono felice che sia rientrato tutto, però per me conta quello che posso fare in un ambiente dove ci sono giocatori forti e persino sottovalutati. Nessuno parla ad esempio di Donadel, eppure è un centrocampista come hanno in pochi».
Il rapporto con Prandelli? «Cominciò a Parma, quando avevo davanti Adriano, Mutu e Bonazzoli: pensavo di cercarmi altri spazi, fu lui a dirmi di resistere, poi fu ceduto Bonazzoli e le cose cambiarono. Gli devo molto. E lo devo ripagare».
Con il Milan ha vinto in Europa e niente in Italia. Non sarà facile rimediarvi con la Fiorentina.
«Non mi piace promettere lo scudetto o la Coppa Italia. In estate lo fanno tutti ed è sbagliato perchè quando passa l’entusiasmo si può finire male. Prandelli dice che noi stiamo subito dietro le quattro grandi, io mi fido della sua competenza. Ripetere la passata stagione è già un bell’obiettivo, poi si vedrà».
Il Milan è davvero più forte dell’anno scorso?
«Sulla carta sì, ma anche le altre si sono potenziate o lo faranno. Sono curioso di vedere come cambierà l’Inter con Mourinho, che mi dicono non ha soltanto il carisma del grande allenatore, e poi c’è Amauri che nella Juve potenzia un attacco già forte, con in più l’esplosione di Chiellini in difesa».
Quanto insegue la Nazionale nella stagione del rilancio?
«Lippi mi ha telefonato quando firmai per la Fiorentina. Mi ha fatto gli auguri. Mi è dispiaciuto saltare l’Europeo anche se per come è finita può non essere stato un danno. Il fatto è che in Nazionale ho molti amici ed ero davvero triste per loro».
Lippi le ha promesso qualcosa?
«No, tocca a me convincerlo a chiamarmi subito. E’ un grande allenatore, carismatico e in Germania ha insegnato al mondo come si gestiscono gli uomini e i momenti».
Pensi che poteva allenare il Milan.
«Leggevo queste voci. Il passato non mi interessa più ma forse con lui non sarei stato io ad andarmene».