DONADONI, nei guai: processo per usura

19.04.2007 16:57 di  Redazione FV   vedi letture
Fonte: Affari Italiani

A giugno il ct della Nazionale Roberto Donadoni avrà una partita fondamentale da giocare. Non certo quella contro le isole Far-Oer del 2, e neanche quella, sicuramente più insidiosa, contro la Lituania dell'8. La sua partita se la giocherà con il Tribunale di Milano. Per difendersi dall'accusa di usura. Il suo legale ha chiesto il rito abbreviato.

Ma cosa c'entra il commissario tecnico con l'usura? Non guadagna abbastanza? Affari, carte processuali alla mano, ricostruisce l'intera vicenda. Il giudice per le indagini preliminari Giovanna Verga, nella sua ordinanza, spiega che "il procedimento nasce dalla circostanziata querela presentata da Luisa Bruna Caprotti, nella sua qualità di Amministratore unico di Ready srl e di Santa Maria Alla Porta Spa nei confronti di Roberto Donadoni".

Da precisare che la Caprotti non ha legami di parentela con lo storico patron di Esselunga Bernardo. "La Caprotti sosteneva che la vendita dell'appartamento, sito nel complesso immobiliare di via Santa Maria alla Porta - spiega il giudice - a Roberto Donadoni, simulava un'operazione di finanziamento garantita dal bene in questione. L'intenzione della Caprotti era infatti quella di vendere in blocco l'immobile che aveva acquistato il 29 ottobre 2001 dall'immobiliare Panda. L'operazione, propostale da tale Oriana Cerri era puramente speculativa. La finalità era infatti quella di rivendere immediatamente l'immobile lucrando sulla differenza di prezzo".



Una pratica comune, questa, nel mondo degli immobiliaristi. Rilevare proprietà per rivenderle a prezzo maggiorato. Tuttavia la Caprotti, dopo aver sborsato ben 15 miliardi di vecchie lire, ha necessità di vendere immediatamente. "Trovatasi di fronte a difficoltà nel realizzare la vendita al fine di far fronte agli onerosi impegni finanziari la Caprotti accettava la proposta della Cerri che le aveva fatto presente che era possibile ottenere del contante da una persona, individuata in Roberto Donadoni, disposta ad 'acquistare' un appartamento dell'immobile in questione e restituirlo nel momento in cui la Ready (la società della Caprotti, ndr) fosse riuscita a vendere l'intero". In pratica, Donadoni avrebbe "prestato" soldi sotto forma di acquisto temporaneo.
"Così avvenne - scrive ancora il giudice - La querelante (la Caprotti, ndr) precisava che al momento della risoluzione del contratto di vendita aveva versato al Donadoni, oltre all'assegno di 413mila euro, un altro assegno dell'importo di 186mila euro". Entrambi gli assegni sarebbero stati post datati. Affare chiuso quindi, con un guadagno netto da parte del ct della Nazionale.
Il meccanismo però si inceppa perchè la Caprotti non ha ancora venduto l'immobile nel suo complesso. E quindi non poteva onorare quegli assegni già emessi a favore di Donadoni. Il quale, ovviamente, non la prende bene. "A fronte della minaccia del Donadoni di mettere all'incasso l'assegno di 413mila euro gli aveva versato parte in contante e parte in assegno l'importo di euro 186mila", spiega il giudice. Donadoni aspetta ancora l'altro mezzo milione, ma "nel maggio 2003 era costretta a chiedere una ulteriore proroga". Che si concretizza con un altro assegno da 413mila euro che sostituiva quello precedente. "L'accordo avveniva nel corso di una concitata riunione alla quale parteciparono oltre alla querelante e al Donadoni anche il di lei padre Alberto - spiega il giudice - Il Donadoni, dopo aver sentito telefonicamente il proprio legale aveva acconsentito alla richiesta di differire la scadenza dell'assegno". Ma l'affare va completamente a rotoli dopo un ultimo, vorticoso, passaggio di assegni. Secondo le ricostruzioni giudiziarie, infatti, per sostituire il primo assegno con un secondo di pari importo ma di diversa scadenza, sarebbero stati pretesi ulteriori 80mila euro.

Ed ecco l'ipotesi di usura. "La querelante lamentava di aver versato interessi pari al 54 percento sulla somma prestata di 413mila euro, senza contare gli ulteriori 4 assegni di 10mila euro consegnati nel corso della riunione del maggio 2003", riassume il Tribunale. Che, nell'ordinanza, riporta anche l'opinione della Cerri (che aveva consigliato l'affare alla Caprotti): "Secondo la Cerri il Donadoni intendeva realizzare un investimento a fini puramente speculativi. Quest'ultimo dichiarava invece di avere acquistato l'appartamento perchè lo aveva reputato un buon affare ed era sua intenzione regalarlo all'allora fidanzata Cristina Radice, oggi sua moglie".

Questa la storia raccontata dal Gip. Che, quindi, rigetta la richiesta di archiviazione così come richiesto dal Pm. "E' certo che la speculazione immobiliare che il Donadoni si era proposto è andata a buon fine - spiega la dottoressa Verga - Nel giro di un anno e sei mesi il capitale di 413mila euro impegnato nell'operazione è lievitato a 639mila euro con un incremento di 226mila. Ed è curioso che tale lievitazione, che lui e i suoi tecnici imputano ad una rivalutazione del bene, a fronte di un mercato immobiliare in salita, si sisa accettato di riacquistare a 599mila euro ciò che avevano da poco venduto a 413mila , prezzo spuntato, per ammissione dello stesso Donadoni, perchè il venditore aveva necessità dell'importo di 500mila euro". Ma c'è di più. "Ed è altresì provato che, quando alla scadenza dell'assegno, i Caprotti non erano in grado di pagare è stato concordato un nuovo interesse, di circa il 5 percento mensile, per rinnovare la scadenza dell'assegno di soli 2 mesi". Ed ecco la conclusione lapidaria: "Tutte le circostanze indicate portano a ritenere che l'operazione in esame mascheri un prestito concesso ad interessi usurari".