DI CHI È QUESTO CALCIO?
"Il calcio è di chi lo ama". E' lo slogan che ormai da qualche anno ha la pretesa di raccontare il campionato italiano. Molti lo ricorderanno nelle sigle che anticipano gli highlights delle sfide, e chiaramente anche nell'annuncio dello sponsor annuale. Una sorta di mission che oggi come oggi suona come minimo paradossale. Come in tanti ambiti del nostro paese non c'è da stupirsi se alle buone intenzioni si sostituiscono in fretta altri orizzonti.
Non è infatti dato sapere esattamente di chi sia questo calcio amato da tutti, almeno per coloro i quali che da qui a gennaio dovranno segnarsi sui calendari date e orari delle partite per non ritrovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Senza contare che accanto a date impensabili per frequentare uno stadio (venerdì o martedì alle 20:30, domenica alle 18:00) converrà segnare pure quale piattaforma digitale o di streaming sarà in grado di trasmettere il match e come lo farà.
Un calcio che sarebbe di tutti, dicevamo, che però ignora i problemi di una nazionale rimasta fuori dai Mondiali e il cui c.t. denuncia scarso impiego dei calciatori italiani, e dove tutti hanno diverse disponibilità. Un calcio che in barba a qualsiasi uguaglianza competitiva consente disparità economiche in grado di far acquistare a una società un calciatore che valga più di un'intera squadra partecipante allo stesso campionato. Un calcio che anche in ambito europeo professa il Fair Play Finanziario ma poi chiude un occhio su milioni di debiti e proprietari che cambiano dal mattino alla sera.
Un calcio così paritario e democratico che quella stessa società che spende come nessun altro nel paese può permettersi di esporre 36 scudetti nel proprio stadio alla faccia dei 34 omologati dalla Lega. Ed è un calcio che adesso vuole tutti i calciatori uguali, uniformati, almeno nelle loro fasce da capitano. Per motivi difficili da comprendere la Lega, nonostante le magagne del pallone italiano, porta avanti la sua battaglia sulle fasce dei capitani e annuncia che non tollererà più trasgressioni. Nemmeno di fronte a un capitano come Pezzella che su quella fascia porta le iniziali di Davide Astori e il suo numero 13.
In assenza di logica per comprendere tutto, e in attesa delle preannunciate multe per una fascia che ci auguriamo caldamente di continuare a vedere, sarebbe già qualcosa riuscire a capire di chi è - davvero - questo calcio.