CHIERICO A FV, Tornare nella mia città fu un sogno
Per cercare di capire cosa possa significare per un calciatore professionista giocare per la squadra della propria città, Firenzeviola.it ha contattato Odiacre Chierico, che, nel 1981, dopo quattro anni trascorsi tra Milano, sponda nerazzurra, e Pisa, tornò nella sua Roma dove contribuì alla conquista del secondo scudetto della storia giallorossa:
Chierico, ricordiamo una sua intervista rilasciata in occasione del suo passaggio dal Pisa alla Roma in cui disse "i miei capelli sono tra il giallo e il rosso dalla punta alla radice..". Il suo ritorno nella Capitale fu veramente il coronamento di un sogno?
"La prima volta che indossai la maglietta della Roma avevo 11 anni, poi, per vari motivi, andai a giocare in squadre secondarie. Il calcio allora era diverso, si giocava per pura passione, non pensando di andare a fare fortuna, per cui spesso i genitori cercavano più che altro di tenerci vicini. A 16 anni però mi prese l'Inter; quando lo seppe, la Roma cercò di riprendermi, ma non ci riuscì. Per me fu un grande trauma, perché a quei tempi non c'erano i telefonini o internet e nemmeno il treno che ci impiega tre ore a collegare le due città. All'Inter trovai comunque un grande ambiente, poi fui ceduto in comproprietà al Pisa, dove ebbi modo di mettermi in mostra. Mi volevano molte squadre, soprattutto il Napoli, ma Anconetani aveva già trovato l'accordo con la Roma, e, in base a ciò che vi ho detto, potete capire che gioia fu per me, cresciuto giocando per strada".
In quella Roma che vinse il suo secondo scudetto, oltre ad un campione assoluto come Falcao, c'erano diversi giocatori nati nella Capitale. Anche questo contribuì in qualche modo a creare un gruppo vincente?
"Parliamo di un calcio che non c'è più. Di Romani, oltre a me, c'erano Bruno Conti, che era di Nettuno, Di Bartolomei e Righetti. Quindi non eravamo poi così tanti. Ma le squadre non erano nemmeno composte da più di 20 giocatori come al giorno d'oggi, con calciatori provenienti da tutto il mondo. L'affiatamento era comunque una delle nostre carattertiche".
La vostra, come già detto, era una grande squadra a prescindere. Ma quando le cose in un club non vanno molto bene, si riesce, con la presenza di giocatori che sono veramente attaccati alla maglia, ad ovviare a certe mancanze, magari ottenendo che il pubblico si stringa ancora di più attorno alla propria squadra del cuore?
"Oggi vedo a giro certi atteggiamenti troppo drammatici, sceneggiate che non condivido. Noi eravamo veramente attaccati alla maglia ma non c'era bisogno di ostentarlo, perché, più in generale, eravamo uomini diversi. La nostra lealtà nei confronti dei tifosi era evidente.."
Giocare con in dosso la maglia della squadra della propria città può essere qualcosa di diverso anche al giorno d'oggi?
"Sicuramente, anche se spesso sono tali gli interessi in gioco per cui è un aspetto che può passare in secondo piano. Vedo però giocatori come Totti e De Rossi che hanno rinunciato a guadagnare e probabilmente a vincere di più pur di restare a Roma. Non so se sia giusto o sbagliato, ma di sicuro è una cosa bella.. "