LA PROVA DI LISBONA E UNA NAZIONALE ALLA RICERCA D'IDENTITÀ
E dire che Federico aveva anche cominciato bene. Dopo il plebiscito nazionale per averlo in campo Mancini l'aveva piazzato come quarto di centrocampo, sulla destra, davanti a Lazzari. E lui, già nei primi minuti, era stato il primo ad arrivare al cross e poi al tiro. Ma mentre Zaza e Immobile faticavano a trovare la giusta sintonia era soprattutto il Portogallo a crescere, di lì a poco fermato solo da una traversa e dagli interventi di Donnarumma.
Colpa anche di un'Italia confusa, chiaramente ancora alla ricerca di una reale identità, fresca com'è di esperimenti. Mancini cambia modulo, abbandona il 4-3-3 e sperimenta le due punte, ma alla fine il conteggio delle occasioni portoghesi è impietoso rispetto a quelle azzurre. Occasioni il più delle volte annullate da Donnarumma, ma quasi sempre figlie di errori gratuiti sulla trequarti.
Non manca il lavoro al c.t. Mancini, visto che questa Nazionale resta un enigma tutt'altro che semplice da risolvere. Dal canto suo Chiesa certo non si arrende, anzi ci mette anche quel furore agonistico che si paga con i cartellini gialli. Qualche errore di troppo nella ripresa, è vero, ma come del resto capita a tutto l'undici di Mancini che continua a cambiare senza che cambi molto. E Federico è sempre e comunque tra gli ultimi ad arrendersi, anche se Pepe nel finale perde la testa e meriterebbe il rosso per il calcione che gli rifila. Ma è ovvio che il solo Chiesa non possa bastare a risolvere i problemi dell'Italia calcistica.