MUTU, Perchè la sentenza è un'ingiustizia...
Adrian Mutu è oggi un giocatore della Fiorentina. Ma, qualche anno fa, divenne oggetto del desiderio di Roman Abramovich, neo proprietario del Chelsea, che nell’estate del 2003 lo prelevò dal Parma per una cifra vicina ai 16 milioni di pounds. Sembrò un amore a prima vista, ma fu solo l’inizio di un calvario. La prima parte di stagione a Londra fu per Mutu ricca di soddisfazioni, ma il cammino si inclinò rapidamente verso il basso, toccando il fondo l’anno seguente, nel 2004, con Mourinho in panchina. L’investimento iniziale fu oggetto di varie riflessioni.
Che divennero molto approfondite dopo che Mutu risultò positivo alla cocaina durante un controllo antidoping. Una situazione paradossale, da cui Il Chelsea cercò subito di uscire licenziando in tronco il giocatore e inserendolo nella lista degli svincolati. A Mutu furono inflitti sette mesi di squalifica e una multa di 20mila sterline. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Il Chelsea attraversa una fase di grandi investimenti: la prima campagna acquisti di Roman Abramovich è molto onerosa, ma porta a poco, Quando il prodotto matura, ci si rende conto degli sprechi e recuperare fondi diventa quasi una priorità.
I Blues mirano al bersaglio: quei soldi spesi per Mutu devono tornare nella casse di Stamford Bridge, costi quel che costi. Il giocatore, d’altronde, ha tradito la fiducia e violato un contratto: va punito. Comincia il tira e molla: il Chelsea chiede un risarcimento danni sostanzioso. E’ solo questione di tempo e i soldi arriveranno. E, in effetti, passa qualche anno e la sanzione arriva: il Tas di Losanna rigetta l’ultimo ricorso del giocatore che, così, dovrà versare al suo ex club quasi la stessa cifra che i Blues versarono al Parma per acquistarlo.
E’ come voler dire: ‘pagati il trasferimento da solo, sei tu l’unico responsabile’. Ma che giustizia è questa? Come si può attribuire a Mutu la responsabilità di aver sancito un trasferimento a determinate cifre? Il giocatore non ha certo voce in capitolo negli accordi tra le società e, invece, dovrà pagare per tutti. Come se non fosse bastato tutto quello che ha subito.
Mutu è diventato l’emblema della lotta alla droga. I ragazzi sono stati invitati a non fare come lui. La cultura del perdono, però, non ha mai trovato spazio. Né in Inghilterra, né al Tas di Losanna, che ha deciso contro ogni criterio logico e morale. Un altro squarcio delle società dove a nessuno viene regalata una seconda chance. Un cattivo esempio per tutti quei giovani che provano a smettere con le alcool o le droghe ma che, trovandosi di fronte ad un giustizialismo esagerato, abbandonano l’idea. Anche il calcio, ormai, diffonde una percezione poco edificante. Tutti gli organi che lo governano (tra cui, ormai, anche il Tas) pensano solo a difendere le superpotenze, grazie alle quali possono sopravvivere.
E nemmeno i media osano obiettare qualcosa: il loro tornaconto ne risentirebbe parecchio. E così ecco l’ennesimo papocchio. Nessuno riesce più a perdonare. Forse bisogna solo trovare la giusta circostanza e le persone adeguate. Anche Rio Ferdinand, dopo un anno al Manchester, fu squalificato per esser risultato positivo ad un controllo antidoping. Ma oltre al periodo di inattività (8 mesi) e una multa, non successe altro. Mai il Manchester pensò di chiudere la sua carriera o rispedirlo al mittente.
Anzi, Ferdinand divenne un pilastro della squadra e della Nazionale. Stessa storia di Mutu, finale diverso. A cosa è dovuto? Forse al potere che la politica riesce ad imprimere ad un mondo come quello del calcio. Dove ogni giocatore andrebbe pensato anche come uomo. Con i pregi e difetti.
Mutu ha 31 anni. Gli resta una chance per evitare il flagello: ricorrere alla Corte Europea per i diritti dell’uomo. Lì anche i calciatori hanno spesso trovato una migliore considerazione. Lì si smette, almeno per un attimo, di pensare ai soldi come unico modo per fare spettacolo. Lì non si è diversi.