È IL GIORNO DELLE RISPOSTE, MA LE TATTICHE DELLA LEGA NON CANCELLANO LE PERPLESSITÀ DEL GOVERNO. IL RISCHIO DI NON RIPARTIRE E LA DIFFICILE SCELTA DI ROCCO SU BEPPE IACHINI. JOVETIC, FIRENZE E L’INVITO ALLA RIFLESSIONE PER CHIESA

22.04.2020 00:00 di  Leonardo Bardazzi   vedi letture
È IL GIORNO DELLE RISPOSTE, MA LE TATTICHE DELLA LEGA NON CANCELLANO LE PERPLESSITÀ DEL GOVERNO. IL RISCHIO DI NON RIPARTIRE E LA DIFFICILE SCELTA DI ROCCO SU BEPPE IACHINI. JOVETIC, FIRENZE E L’INVITO ALLA RIFLESSIONE PER CHIESA

È il giorno delle risposte. Senza più giochi di parte, senza più la possibilità di lasciare il cerino in mano ad altri. Nel super vertice di oggi, con i ministri Spadafora e Speranza da una parte e il mondo del calcio dall’altra, si discuterà se far ripartire gli allenamenti da maggio, se l’ipotesi di ricominciare a giocare da giugno sia davvero praticabile. La Serie A, spaccata fino a qualche ora fa, ha fatto la sua mossa: “Riprendiamo il campionato, a patto di sottostare ai voleri del governo”. Tatticismo, nato e pensato solo e soltanto per preservare i soldi dalle pay tv, soprattutto dopo che Sky ha chiesto una dilazione nel pagamento dell’ultima rata. Una strategia che però cozza con le perplessità del governo intorno al protocollo proposto dalla FIGC: troppi dubbi intorno ai tamponi e alla tutela della salute, troppi rischi rispetto ai benefici. 

Il calcio non è una priorità - ha detto giustamente il ministro della salute - con 400 morti e passa al giorno, dobbiamo pensare ad altro. Qualcuno ha anche parlato di allenamenti da farsi solo ed esclusivamente da soli, senza palla, perché lo stesso pallone sarebbe un pericoloso veicolo per passarsi il virus: fosse davvero così, sarebbe assurdo anche solo pensare di ricominciare ad allenarsi. Perché un conto sono le vasche di Federica Pellegrini, un altro è la preparazione richiesta a un calciatore professionista per giocare ad alti livelli. Dall’aria che tira insomma, come minimo ci sarà un ulteriore rinvio alle scadenze, con il conseguente rischio che la stagione possa considerarsi conclusa qui, a meno che non si voglia davvero pensare all’anno solare come termine ultimo per chiudere campionati e coppe. In quel caso però ci sarebbero problemi enormi da risolvere (primo fra tutti quello legato ai contratti in essere dei giocatori), solo e soltanto per salvare un campionato da giocare in piena estate, senza pubblico e con partite ogni tre giorni. Vale la pena? Ha ragione Malagò: al calcio, inteso come FIGC, ma anche come UEFA e FIFA, è richiesto uno sforzo ulteriore. È richiesta una riflessione su come poter ripartire in autunno anche senza concludere questa stagione. Lo impone la situazione contingente, i morti e i mille problemi legati anche solo a un semplice allenamento fatto in gruppo. 



Commisso si è schierato per la ripresa del campionato, ma senza forzare la mano. Rocco - lo ha ribadito anche ieri - è pronto a costruire una Fiorentina più forte. Nonostante tutto. E anche se le perdite economiche dovessero essere ingenti. Se non si giocasse semmai, sarò curioso di capire quale sarà la sorte di Iachini, il traghettatore che ha fatto benissimo il suo lavoro ma che, appunto, era stato scelto come uomo a cui aggrapparsi per togliersi dalle sabbie mobili e non per lanciare la sfida alle grandi del campionato. Vincerà la voglia di ingaggiare un grande allenatore (Sarri sarebbe un sogno) o il senso di appartenenza di Beppe? 

A proposito di attaccamento alla maglia viola, rileggendo le parole di Jovetic, sono ritornati in mente i riccioli al vento alla Brian May, la sfida a Messi in amichevole, i gol in Champions e i cori della Fiesole: “Tornare a Firenze, perché no? È la mia seconda casa”. Stevan è sempre stato un potenziale campione, a cui il destino ha chiuso la porta del paradiso. Troppi infortuni, troppa jella per volare nell’Olimpo del calcio. Ma, forse, anche troppa fretta. Come quella che hanno avuto in tanti nel lasciare Firenze, che non sarà Madrid, ma che allo stesso coccola e alleva campioni come in pochi sanno fare. In quell’estate infuocata alla Juve ci sarebbe andato per davvero, tanto che pochi mesi dopo salutò e firmò per il City. Un destino capitato anche al suo amico Ljajic (che scelse la Roma), a Berna e prima ancora perfino a Spadino Robbiati, che ripartì dall’Inter perché fare il dodicesimo uomo in viola se lo sentiva un abito stretto da indossare. La storia, per tutti loro, Jo-Jo compreso, ha detto altro. Solo Baggio infatti ha lasciato Firenze per crescere ancora, gli altri invece hanno fatto i conti con il rimorso. Perché i soldi comprano tanto, ma non possono comprare tutto. Per il giovane e scalpitante Chiesa, più che un consiglio, è un invito alla riflessione.