SE DIEGO CHIAMA, CESARE TORNA
Ne ho la convinzione, direi quasi la certezza: se Diego Della Valle, passata l’amarezza per la perdita del padre Dorino, magnifico fondatore di un impero, impugna la cornetta e chiama Cesare Prandelli per ricostruire la Fiorentina, il mister del miracolo viola molla tutto e torna immediatamente alla base. Ad Europei conclusi, si intende. Sarebbe il giusto coronamento di un amore interrotto da una separazione capricciosa che ha avuto poco senso, sarebbe come suturare definitivamente una ferita che ha continuato a sanguinare negli anni.
Il fatto nuovo è che Cesare Prandelli, protagonista di una straordinaria ricostruzione della nazionale italiana, ridotta a brandelli e spinta fino all’umiliazione dalla seconda gestione Lippi, non si sente più a suo agio nel continuare l’avventura del selezionatore. In poche parole, è un ruolo che gli sta stretto. E comunque due anni per disintossicarsi dalle cinque intense stagioni di Firenze sono sufficienti, anzi sono fin troppo abbondanti.
Non ce la fa più, Prandelli – questa è l’impressione che si coglie dall’esterno – a vivere una partita in media ogni 3 mesi, a fare dieci allenamenti all’anno. Non resiste più senza la quotidianità del campo, la cadenza settimanale del match, l’angoscia dei ritiri, le tensioni del dopo gara, le riunioni di preparazione, insomma è nostalgico della frenesia del calcio, della schizofrenia della critica. Che lo fa incazzare, ma lo fa sentire vivo. Cesare è troppo giovane per appassire nelle stanze eterne, vuote e silenziose del Centro Tecnico di Coverciano. E poi è un uomo solo (al comando).
Per due anni da ct non ha mai alzato la voce, non ha mai schiaffeggiato un cameraman, non ha mai chiesto un favore a nessuno, almeno fino a qualche settimana fa. Con gli Europei ha “osato” proporre due giorni di stage per reparto prima del ritiro e della partenza per la Polonia-Ucraina, per tutta risposta si è sentito assalire dei presidenti di serie A. Senza che la Federazione muovesse un dito o si prendesse a cuore le sue esigenze. Niente stage, si va alla carlona, ci si vede a fine maggio e chi c’è, c’è.
Tutto questo senza considerare che qualche giocatore dei convocati potrebbe imparare più in un pomeriggio di lezione con Cesare, che in un mese con l’allenatore del proprio club.
La maleducata negazione degli stage è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Già colmo le ‘consegne’ sull’utilizzo dei calciatori che, pare, i club abbiano imposto per la recentissima amichevole con gli Usa, persa malamente.
Per tutti questi e molti altri motivi, Cesare è pronto per una nuova avventura. Lascerebbe senza rimpianti il posto a Claudio Ranieri che con lui è stato in ballottaggio due anni fa per la panchina azzurra.
Chi, come me, e come tanti altri colleghi che hanno il piacere di scrivere per firenzeviola.it, in questi anni ha intervistato con imbarazzo Prandelli nell’aula Magna di Coverciano, non può non aver notato che ad ogni conferenza stampa non ha resistito dal fare un riferimento alla “sua” Fiorentina. La Fiorentina e Firenze gli sono rimasti nel cuore, nella nostra città Cesare ha ritrovato casa e l’amore. A Firenze potrebbe continuare a lavorare, spostandosi da Coverciano a Campo di Marte. Alla Fiorentina potrebbe ricominciare a lavorare: alla Ferguson, da allenatore manager, con un upgrade che potrebbe spingerlo a firmare un contratto in bianco e a non chiedere garanzie su una squadra da ricostruire totalmente. Quasi con ossessione in questi anni ha ripetuto: “Tornare alla Fiorentina? Mai dire mai”. Se Diego chiama, se Diego vuole, dopo una lunga chiacchierata, quel ‘mai’ può diventare ‘subito’.
Cristiano Puccetti
direttore sport Lady Radio e Quotidiano viola