Il Giornale, Perchè dare la Nazionale a un perdente?

Riportiamo qua un articolo a firma Riccardo Signori comparso stamani sulle pagine de il Giornale
08.03.2010 19:10 di  Redazione FV   vedi letture
Fonte: il Giornale
Il Giornale, Perchè dare la Nazionale a un perdente?
FirenzeViola.it
© foto di Giacomo Morini

Vista la Fiorentina? È proprio la squadra rivelazione. Chi, infatti, avrebbe pensato di vederla così in basso: -20 dal Milan, dietro perfino a Cagliari, Genoa, Palermo e Napoli, alla pari con Bari e Chievo. Disastroso, nonostante il buon gruppo di giocatori messi a disposizione dai Della Valle e da Pantaleo Corvino che, come talent scout, ha pochi rivali. E, allora, possibile che nessuno si ponga la domanda più banale? Sicuri che Cesarone (momentaneamente Cesarino) Prandelli sia un allenatore da nazionale? O da Juve? I suoi difensori dicono: ha ottenuto ottimi risultati, è bravo con i giovani, a Firenze ha svolto un fior di lavoro. Certo, non ha vinto niente (solo una promozione alla serie A), due volte quarto ed una sesto (tralasciamo il primo anno per via di calciopoli) in campionato, sempre a gambe all’aria in Europa, anche se domani avrà la grande occasione per migliorare la statistica. Obiezione dei soliti avvocati: ma ha portato la Viola in Champions. Invitante! Una volta è arrivato a 19 punti dall’Inter e a sei dalla terza. Un’altra a 16 dall’Inter e sempre a sei dalla terza, pari punti col Genoa. Avessi detto! Bene, siamo seri. E mai possibile affidare la nazionale ad un allenatore che, del vincente, ha solo l’aureola? Libera la Juve di sceglierlo, ma qualcuno spieghi chi fra Prandelli e Zaccheroni si è dimostrato più bravo nella gestione strategica del confronto diretto. Raccontano che quando allenava la primavera a Bergamo, Cesarone era qualitativamente dotato: già allora di presunzione. E quando rimediava sonore sconfitte, sembrava quello di oggi: mugugnante e mai deciso ad ammettere che gli avversari possono esser più forti. Vero che Trapattoni garantisce per lui, ma i risultati della Fiorentina e qualche altra piccola crepa nel curriculum inducono a dubitare. In Italia siamo specialisti del controsenso: mandiamo i migliori all’estero (Capello, Ancelotti, Mancini) e per la nazionale andiamo a simpatie. O peggio: seguiamo le mode. Pensiamo a Prandelli che arranca e, allora, perché non a Delio Rossi che dovunque è andato «e spesso a sparecchiare la tavola», ha raccontato in una intervista, ha dimostrato bravura, a dispetto dell’immagine? Rossi ha portato il Palermo in zona Champions, dimostrato che la squadra vale, pur con una rosa inferiore a quella della Fiorentina (con o senza Mutu). Il suo quarto posto non sfigura affatto. Ma per capire i marchingegni delle scelte, date un’occhiata al basket. Cambia il tecnico di una nazionale malamente affondata. E chi ci mette il presidentone Meneghin? Simone Pianigiani, l’allenatore che da quattro anni devasta il nostro campionato con Siena, non lasciando nemmeno una speranza agli avversari, evidentemente troppo deboli. Ma, regolarmente, va a prendere solenni musate in Eurolega, che sarebbe la Champions della pallacanestro. Un tecnico che non sa vincere in Europa, e che da tre anni sta peggiorando i risultati (partito da un terzo posto, stavolta non è entrato nemmeno nei quarti). Che dire? È l’italian style. Dunque affidiamo pure l’Italia del basket e quella del calcio a due perdenti di successo.


La redazione di Firenzeviola.it si dissocia da quanto scritto dal nostro collega. Sottovalutare il lavoro fatto da Prandelli in questi anni ci pare obiettivamente sbagliato. Così come non condividiamo il riferimento alla presunzione. Praticamente mai ravveduta in Cesare Prandelli. Ma il calcio, così come il mondo, è bello perchè è vario. Ci permettiamo, tuttavia, di riflettere sul concetto di "vincente" che, spesso, nel nostro calcio viene affibbiato ai tecnici. Capello e Mancini, ad esempio, ci paiono due allenatori spesso considerati vincenti. Domandarsi come mai uno scudetto sia stato tolto al primo e passato al secondo, tuttavia, ci pare lecito. Così quanto chiedersi se il terzo "vincente" citato nel pezzo di cui sopra fra i migliori, Ancelotti, potesse contare su una rosa ben più consistente della media italiana. Ai tempi del Milan, o della Juve che, comunque, lo cacciò.