ALMIRON, Non mi dispiacerebbe restare ad Empoli
Ci sono luoghi dove il tempo scorre lentamente, dove la vita ha un gusto diverso perché riesci ad assaporarne ogni istante, ogni attimo. Nelle vaste praterie dell’Argentina, ad esempio, nell’aria c’è qualcosa di speciale. Qualcosa che ti permette di riflettere, analizzare, capire. Qualcosa che fa apparire diverso anche Sergio Bernardo Almiron. Lui, il mago del centrocampo dell’Empoli dei miracoli, si sta godendo le vacanze nella sua casa di Santa Fé, e neanche il generale inverno riesce a togliergli la serenità. E’ soddisfatto della stagione che è andata agli archivi, è felice per quello che gli è capitato nelle ultime tre splendide annate. Così felice che i rumors di mercato non lo spaventano affatto, che le incertezze sul proprio futuro sembrano toccarlo il giusto. In Italia ha lasciato il suo procuratore, Vagheggi, ad interessarsi di queste cose, a Empoli c’è un direttore generale, Vitale, di cui si fida ciecamente. Insomma non ha motivi per essere preoccupato. Anzi, il vento della pampa lo fa apparire sotto una luce diversa. Sarà perché Almiron è uno di quei pochi uomini che non riesce mai ad essere banale. Non lo fa in campo, quando indossa gli scarpini chiodati e accarezza la palla, non lo fa quando decide di concedersi (di rado) a un taccuino e una penna. Stavolta, insomma, l’uomo mercato dell’Empoli racconta e si racconta e ne viene fuori un ritratto a 360 gradi. Allacciatevi le cinture, dunque, e preparatevi ad affrontare il viaggio nel pianeta Almiron. In un mondo magico, ma che in passato ha avuto i suoi momenti difficili. Come gli è successo fino all’agosto 2004, quando la strada della vita lo ha portato in una piccola città di provincia, a Empoli.
ANNI MAGICI. «In questi tre anni - ricorda Almiron - è successo di tutto. Sono arrivato come oggetto misterioso in una squadra appena retrocessa in B. Sembrava un rischio, per me e per l’Empoli, ma ho avuto la fortuna di trovare una società e una città che ti permettono di lavorare, di crescere. Così si è formato un gruppo eccezionale, che ha conquistato prima la promozione, poi la salvezza, infine la Coppa Uefa. Una cavalcata eccezionale, il frutto del lavoro di tre anni».
E, nel frattempo, anche Almiron ha smesso di essere un oggetto misterioso.
«Sono cresciuto molto, sotto tutti gli aspetti. L’Empoli mi ha permesso di migliorare sotto il profilo tecnico, tattico e anche fisico perché ho trovato persone che con me non si sono arrese. Che hanno avuto voglia di aiutarmi, di farmi lavorare e di insegnarmi moltissime cose».
Insomma deve molto all’Empoli.
«No, all’Empoli devo tutto. E’ diverso. Anche perché questa era la mia ultima occasione».
In che senso?
«Non l’ho mai detto a nessuno che non sia della mia famiglia, ma quando arrivai qua, nel 2004, avevo deciso che sarebbe stata l’ultima possibilità. Se non fossi riuscito ad impormi, dopo le esperienze a Udine e Verona, avrei smesso di giocare e sarei tornato a casa, in Argentina, a cercarmi un lavoro».
Ma era giovanissimo...
«Avevo 24 anni e una serie di delusioni alle spalle. Era già tutto deciso».
Poi cos’è successo?
«Che l’inizio è stato duro, durissimo. Qualcuno, non di Empoli o dell’Empoli, mi aveva detto che sarei arrivato in una squadra scarsa dove avrei giocato sempre. Invece trovai un gruppo con ottime qualità e l’inizio fu stentato. Ero convinto di tornare a casa a dicembre, durante la pausa, e non tornare più. Poi Somma mi chiamò nel suo ufficio e mi disse che avrei dovuto tenere duro fino a gennaio. “Seguimi”, mi disse, “poi vedrai che avrai spazio e modo di giocare”. E’ andata esattamente così».
Sembra di parlare di un altro Almiron.
«Oggi forse può sembrare così. Ma vi assicuro che è stata dura. A 20 anni mi sono ritrovato in un paese straniero, lontano dalla famiglia e lontano da casa, e non è stato facile. Certo mio padre (campione del mondo con l’Argentina a Messico ’98, ndr) mi aiutava, ma sentirsi la sera a telefono non è come parlarsi faccia a faccia».
Poi con l’Empoli è sbocciato l’amore.
«Con l’Empoli e con Empoli. Ripeto, qui ho trovato un ambiente eccezionale, anche fuori dal campo. La gente mi ha dato subito affetto ed è stato importantissimo per me».
LA STAGIONE. Eppure quest’anno il rapporto di Almiron con il pubblico non sembra essere stato sempre idilliaco. In molti lo hanno accusato di non essere più votato al 100% alla causa azzurra. «Cosa non vera - ribatte l’argentino - perché se fossi voluto andare via non avrei rinnovato il contratto (ha firmato la scorsa estate un accordo fino al 30 giugno 2009, ndr) o avrei trovato il modo di fare casino. Invece sapevo che per me era giusto restare qui e così è stato. Probabilmente il mio rendimento non è stato pari a quello della scorsa stagione, ma ho sempre cercato di dare il meglio, di fare il massimo e sinceramente non credo di aver giocato poi così male».
Come mai non si è ripetuto?
«L’infortunio prima del derby d’andata con la Fiorentina mi ha limitato per gran parte della stagione. Raramente, quest’anno, posso dire di essere stato al massimo».
L’aspetto tattico ha influito?
«Forse il mio calcio è un po’ più offensivo rispetto a quello che abbiamo giocato noi, ma non credo sia stato determinante».
L’impressione è che il rapporto con Cagni non sia proprio d’amore.
«Impressione sbagliata. Le idee del mister non sono esattamente le mie, ma abbiamo parlato tanto per capirci. Ogni tanto può essere capitato che ognuno sia rimasto sulle sue posizioni, ma il rapporto è sempre stato corretto. Da ambo le parti. Ho sempre cercato di fare quello che lui mi chiedeva di fare e se proprio volete saperlo vi assicuro che io ho grande stima di Cagni».
PASSATO E FUTURO. Presto, però, le loro strade potrebbero dividersi. Almiron è l’uomo-mercato, quello destinato a partire. Ma, ovunque vada, l’argentino avrà sempre ricordi speciali di questa magica avventura. «Il momento più bello - spiega - è stato proprio il gennaio del 2005, in B. Iniziai a giocare con continuità: il tempo delle delusioni era finalmente finito».
Giusto in tempo per non smettere.
«Ma rifarei esattamente tutto quello che ho fatto. E’ stata dura, lo ripeto, ma questi anni in Italia mi hanno fatto diventare uomo. In Italia ho trovato mia moglie, in Italia sono nate le mie figlie Kinor e Rosario».
Sono nate a Empoli e quindi un pezzo di Empoli sarà sempre con lei.
«Sarebbe stato così anche se le mie bimbe fossero nate altrove. Ribadisco che all’Empoli e a Empoli devo tutto, e non scorderò questa esperienza e i tanti amici incontrati».
Però nel prossimo campionato potrebbe tornare qui da avversario.
«E sarebbe bello, bellissimo perché mi permetterebbe di rivedere persone a cui voglio bene. Però penso che mi rivedrete anche prima».
In che senso?
«Non so come si svilupperà il mercato ma penso che a luglio partirò in ritiro con l’Empoli».
Eppure la vogliono in molti: Juve, Palermo, Inter, Fiorentina, le squadre di Mosca.
«Vedremo, vedremo. Io sono tranquillo perché so che il direttore Vitale sceglierà la soluzione migliore per me e per l’Empoli».
E se fosse l’Empoli?
«Sarebbe perfetto. Io non ho mai detto di voler andar via e vi assicuro che restare non sarebbe un problema. Qui sto bene, qui ho tutto. Sarei contento, ve lo giuro».
E come troverebbe gli stimoli...
«Non scherziamo. Giocare con l’Empoli in Coppa Uefa sarebbe il massimo. Un’esperienza fantastica da affrontare insieme ai miei amici».
Ci pensa: se andrà alla Juve non giocherà in Europa.
«Una beffa. Conquisto l’Uefa e poi non la faccio. Ma credo che potrei starci, voi che dite?».
C’è un’altra cosa di sé che non ci ha detto?
«Sì, il mio soprannome originale. A casa mi chiamano Siux, perché da piccolo sembravo un indiano e hanno storpiato il nome della tribù Siuox. Detto questo ora di me sapete tutto».
Non sappiamo dove andrà.
«Questo non lo so neanche io. Ma so che potrebbe anche essere l’Empoli. E non mi dispiacerebbe affatto».