NIENTE A CHE FARE COL CALCIO
Non avevamo una gran voglia di parlare di Fiorentina oggi. Perché oltre che giornalisti siamo anche tifosi. E una sconfitta si commenta sempre malvolentieri. Ma l’avremmo fatto comunque perché il calcio è il nostro mestiere. E invece ci troviamo a parlare di qualcosa che col calcio ha veramente poco a che fare, ed a doverci improvvisare sociologi; perché è di società che si parla riferendoci ai fatti di ieri. Si, perché il calcio non è stato altro che il palcoscenico dello scatenamento di mali ben più gravi che attanagliano la vita di ogni giorno. Si sa ancora poco di quello che è realmente accaduto ieri sulla A1; e, come accade spesso nel nostro Paese, forse, non lo si saprà mai. Ma si sa con certezza che da Milano a Taranto, da Bergamo a Roma la violenza è dilagata in maniera inaudita. Inaudita ma non sorprendente. E forse nemmeno spontanea. Perché di certe strane alleanze tra tifoserie tradizionalmente avversarie in nome dell’odio comune verso l’autorità costituita le avvisaglie c’erano state eccome. Eppure si sono chiusi stadi, impedite trasferte, proibiti striscioni, ma quello strano derby capitolino interrotto da Rosetti su ordine di Galliani è stato dimenticato troppo in fretta. Così come certi film degli anni ’90, come Ultrà di Ricky Tognazzi o Hooligans di Philip Davis. Non ci sentiamo all’altezza ne’ di spiegare le ragioni ne’ tantomeno di proporre soluzioni. Noi siamo dei semplici cronisti che riportano i fatti; non siamo qui ne’ per pontificare ma nemmeno per alimentare la tensione, come sostengono certi baroni della carta stampata. Ed allora permetteteci di citare il sociologo Pippo Russo, che prima di Fiorentina-Udinese, quando non era ancora prevedibile ciò che sarebbe poi accaduto a Roma in serata, ha parlato di “guerra civile nemmeno poi tanto velata auspicata da alcune frange di certe tifoserie”. O Cesare Prandelli che nel dopo-partita ha ricordato quanto odio ed intolleranza ci siano nell’aria, anche al di fuori del calcio. Non sappiamo cosa succederà oggi. Se verranno impedite del tutto le trasferte, se ci sarà un’interruzione del campionato, se metteranno il microchip ai tifosi. Sappiamo soltanto che il calcio ha preso una brutta batosta e che stavolta difficilmente riuscirà a rialzarsi. Forse non era proprio quello che voleva chi ha bruciato auto, sfondato transenne, lanciato sassi; forse ci rimarrà pure male; ma tanto troverà prima o poi un altro terreno dove sfogare le proprie frustrazioni, le proprie manie, le proprie delusioni. Ed ancora una volta chi ci rimette è chi il calcio davvero lo ama. E pensiamo a Firenze. Dove ci sono state tensioni e spaccature ma, come ha fatto giustamente notare Stefano Sartoni, non è successo niente di comparabile ad altre piazze. Ma dove, allo stesso tempo, sentire Marzio Brazzini dire “io chiudo” fa male. Più male delle reti di Di Natale e Quagliarella. Perché tutto quanto è successo domenica 11 novembre non ha niente a che fare col calcio.