ADU, La rinascita del predestinato
Ricominciare a 18 anni. Tre stagioni di professionismo alle spalle, due «All Star game», un debutto in nazionale A, vari record di precocità, molte attese, parecchie delusioni: tutto già vissuto, da minorenne. Mentre i suoi coetanei
andavano a scuola, trovavano la prima fidanzata, e al massimo studiavano per la patente,Adu si trasferiva dal Ghana agli Usa, finiva sulle copertine dei
giornali, veniva indicato come il «Messia» del calcio Usa e poi veniva dimenticato.
RISALITA In questo Mondiale Under 20 ha già segnato una tripletta alla Polonia e, ultima impresa, ha portato i suoi per mano fino alla vittoria
sul Brasile (la seconda nella storia del soccer Usa): «Devo dirti la verità,
man: era tanto tempo che non mi sentivo così giocando a pallone—ammette —. Era tanto che non provavo queste sensazioni». In effetti dell’ex-bambino prodigio, più giovane pro’ della storia Usa, era rimasto pochino: non convocato ai Mondiali tedeschi, non devastante nel campionato Usa, dove è stato addirittura ceduto dai D.C. United al Real Salt Lake, l’impressione che il «talented kid» non si sarebbe mai trasformato in un vero giocatore: «Ho avuto tante delusioni negli ultimi anni.C’era troppa attenzione su di me, non
riuscivo a giocare come so. Andavo male, la squadra andava male, non arrivavano i risultati e io pensavo troppo».
LEADER Sono bastate tre gare in Canada per spazzare via ogni dubbio: il ragazzo è tornato. A stupire non è tanto il talento, la capacità di liberarsi nello stretto, i tiri perfetti a giro, la puntualità degli assist: sorprende e convince il suo modo di stare in campo. Adu veste la fascia di capitano, e lo fa da condottiero. Nelson Rodrigues, il c.t.brasiliano, lo definisce «un sudamericano, ma più pratico ed efficiente», Thomas Rongen, allenatore
olandese degli Usa, sintetizza così: «Ci sono gare in cui è superbo tecnicamente, contro il Brasile ha anche gestito la partita e i compagni. Ha una enorme forza dentro, una voglia di imporsi che porta con sé tutta la squadra». In campo chiama, urla, pressa, aizza il pubblico, litiga con gli avversari, con quelle piccole provocazioni che sono di casa nel basket.
Il tutto col sorriso costante, che esibisce anche davanti alle telecamere, accompagnato da un orecchino a stella al lobo sinistro e da una parlantina
da attore di Hollywood, con ritmi da rapper (mille parole al minuto).
SOCCER IS FUN Sa di essersi ritrovato, e spiega come: «Sto giocando il livello più alto di calcio della mia carriera. Venendo qui mi sono detto che dovevo ritrovare il divertimento. Non posso stare qui a pensare a tutto quello che è successo, al modo di trovare un contratto in Europa, a fare confronti
con gli altri. Mi sono detto "Soccer is fun" e ho iniziato a ripetermelo: "Soccer is fun, soccer is fun, soccer is fun...". Poi ho iniziato a scriverlo ovunque: sul computer "Soccer is fun", sul frigo "Soccer is fun", sui cartelli in albergo "Soccer is fun". E sai cosa? Mi sto divertendo. Perché non conta quello che hai fatto finora, ma quello che puoi dare adesso, sul momento. E io voglio
dare sempre il 110 per cento, e migliorare». Il contratto in Europa l’ha sfiorato nel novembre 2006, con un provino fallito al Manchester United (ma lui sogna il Real, quello di Madrid), i confronti con gli altri li facciamo noi. Ha vinto quello diretto con Pato: due assist per i due gol di Altidore (nel primo ha recuperato palla con un tackle, nel secondo si è liberato vicino alla bandierina di due uomini alzando la palla a «sombrero»), punizioni rimediate e tirate, onnipresenza. Lui si limita a tirare le conclusioni: «la mia squadra ha vinto, il calcio è sport di squadra, per cui sì, probabilmente ho vinto». Adu è tornato, e forse ha solo iniziato a divertirsi.