La partita di Daniele Mastrogiacomo
Come già purtroppo accaduto fin troppo spesso, un altro nostro collega ha da poco conosciuto un’esperienza tremenda durante lo svolgimento della sua professione. Ci riferiamo, naturalmente, all’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, da poco liberato dopo 15 giorni di prigionia dai Talebani.
Decidiamo oggi di dedicare a lui alcune riflessioni, non tanto e non solo per dare anche da parte della redazione di Firenzeviola.it il bentornato a
Daniele, ma per ringraziarlo. Abbiamo infatti ascoltato il suo racconto (disponibile in video sul sito di Repubblica) e qualcosa ci ha colpito
profondamente. Daniele racconta dei giorni della prigionia, di momenti e sensazioni drammatiche. Ma racconta anche di immagini e debolezze, e di un momento che ci colpisce particolarmente, come giornalisti sportivi. Ad un certo momento, durante le pause dei monotoni giorni di prigionia, spunta nell’accampamento un vecchio pallone, e i carcerieri improvvisano piccole partite di calcio. Nella follia surreale del momento Daniele viene addirittura chiamato ad arbitrare. Poco importa se è un ostaggio, se le catene gli stringono caviglie e polsi: è un italiano, e serve un arbitro.
Quello che impressiona è che in quei momenti diviene addirittura possibile lo scherzo, la presa di giro, il semplice agonismo. L’ostaggio diviene, per un attimo,
davvero parte di quel gioco, in un angolo disperso dei monti afgani. E Daniele sta al gioco, accetta di farne parte. Ci permettiamo di dire, dopo averlo ascoltato, che non lo fa solo per paura, per dire sì alla folle richiesta dei carcerieri, ma per quell’amore per il suo lavoro che lo porta comunque
ad osservare e cercare una relazione, anche con quella civiltà che gli è a quel momento così ostile.
E allora Daniele si accorge ancor più di quanto siano giovani i nuovi terroristi talebani. Ragazzi che hanno conosciuto è solo la severa osservanza
delle religione musulmana e la completa dedizione alla Guerra Santa, in completo isolamento dal resto del mondo. Sono disposti ad uccidere per questo, anzi hanno già ucciso, anche davanti a MastroGiacomo. Una violenza inaccettabile, un mondo di valori lontano anni luce non solo dalle nostre civiltà, ma anche da quell’Islam moderato e civile che, va sempre detto, costituisce la stragrande maggioranza dei fedeli musulmani.
Sia ben chiaro quindi che parliamo di una nota di colore, che niente può togliere alla più severa condanna della follia terrorista. Anche Daniele è
molto chiaro in questa valutazione.
Eppure c’è qualcosa che ci ha commosso, che forse aggiunge un po’ di speranza, che dimostra come anche in quelle situazioni si possa per un attimo tornare ragazzi, ancor prima di qualsiasi altra cosa. Tornando al nostro lavoro di giornalisti sportivi, così lontano da quello di Daniele, pensiamo a quello ci riguarda direttamente. Quell’immagine sottile che, ragazzi anche noi, ci ricorda anche le origini e il valore di uno sport, la sua essenza troppo spesso dimenticata. Come quando pensiamo alle nostre ginocchia sbucciate da bambini, ai SuperTele e al Tango, alle porte improvvisate con zaini o panchine. Un vecchio pallone, un campo terroso, alcuni compagni. Nella pace delle nostre città come nei più drammatici scenari di guerra, è di questo che continuiamo a rimanere innamorati.
Martino Prati