BAIANO, A Napoli con Cabral. Primi giudizi dopo...
Francesco Baiano, ex attaccante di Napoli e Fiorentina, è intervenuto per dire la sua sulla gara di domenica del Maradona: "È importante per tutte e due le squadre. Per me sarà un match speciale perché sono napoletano ed ho giocato nella Fiorentina, che mi ha dato la possibilità di farmi conoscere. Per me sarà particolare, ma ho sempre sperato che vincesse il migliore e di vedere una bella partita. Nel Napoli diciamo che ho cercato di giocare, ma dovevo nascere 10 anni dopo perché ai miei tempi c'era un discreto traffico là davanti con Maradona, Giordano, Careca e Carnevale, un nazionale che non giocava".
Per chi tiferà?
"Non tifo, 50 e 50. Sono per il calcio e, come detto, sarà una partita particolare. Ho sempre tifato Napoli da ragazzino, la prima partita l'ho vista in Curva B, nel cuore del tifo, a 4 anni e da calciatore ho continuato a tifare per gli azzurri. Poi però ci sono 5 anni a Firenze che non si possono dimenticare... Vivo in questa bellissima città, il mio cuore è a metà".
Chi farebbe giocare in attacco fosse in Italiano?
"Farei giocare Batistuta (ride, ndr). Scherzi a parte, continuerei con Cabral, però Italiano ci ha abituato a non vedere le partite della domenica, ma gli allenamenti della settimana, come è giusto chi sia: farà giocare chi vede meglio. Per giudicare Cabral non ci si può limitare alla domenica perché sennò se facesse bene sarebbe forte, altrimenti uno scarso... Ad un attaccante servono almeno 10 partite, però è chiaro che Italiano non può aspettare nessuno e deve valutare la condizione del momento. 10 gare rimane il minimo per poter avere una parvenza di giudizio".
Con Cabral nel suo Foggia cosa sarebbe cambiato?
"Un giocatore come lui Zeman non lo avrebbe mai preso... Non perché non sia bravo, ma lui ama i centravanti dalla tecnica sopraffina e in un 4-3-3, se non hai un attaccante che scarica in un certo modo e fa da collante con il resto dei reparti, gli esterni sono sempre fuori tempo e non attaccano mai la profondità. Lui cercava quindi gente con doti tecniche importanti per mandare gli altri, ma anche veloci, con la gamba per arrivare a concludere dopo lo scarico. Se sei lento non ci arrivi mai... La cosa più difficile per il difensore è assorbire l'inserimento che non vede".
Cabral è un attaccante da area?
"Per me è un giocatore che deve vivere in area per essere determinante vista la sua fisicità, ma anche per come si muove negli ultimi 16 metri. Piatek è un altro come lui... Se li portiamo fuori fanno molta più fatica perché non ho visto in loro doti tecniche eccelse. La cosa positiva è che anche il primo Vlahovic non era così a suo agio a venire fuori dall'area, poi dopo la Fiorentina si è ritrovata un altro giocatore, che faceva reparto da solo, migliorato con i piedi... È una questione di volontà. Italiano mi diceva che era il primo ad entrare e l'ultimo ad uscire dal campo, come Batistuta. Il Re Leone faceva di tutto per migliorarsi e lo si fa a 40 anni, figuriamoci a 24-25. L'importante è la mentalità".
Cabral ce l'ha?
"Non lo conosco... Dovrei allenarmi con lui per dare un giudizio. Con Batistuta ho condiviso 5 anni di allenamenti e posso dire vita, morte e miracoli dell'argentino che era un animale. Non tanto quello di quando sono arrivato che era un giocatore normale, ma quello che ho lasciato quando sono andato via, che aveva ancora la forza di migliorarsi, l'umiltà di non accontentarsi e, se la pensi così, puoi fare grandissime cose. La volontà di migliorarsi deve esserci sempre perché ogni allenatore può dare qualcosa in più, mentre il sentirsi arrivato è l'anticamera dello smettere con il calcio".
La mentalità è trasmettibile?
"È una questione di impronta di società. Noi tante volte che qualcuno non camminava sulla retta via, andavamo lì, glielo facevamo capire, glielo dicevamo una, due, tre volte, ma se alla quarta non aveva capito allora non era più compito mio, ma dell'allenatore e del club. Tutti devono viaggiare sulla stessa linea e se hai uno bravo, ma che non viaggia su quella linea, devi levarlo dallo spogliatoio. Se il tecnico o la società fanno finta di nulla, il primo perde credibilità e manca la cosa fondamentale del calcio, ovvero la coesione di gruppo. Meglio sacrificare uno bravo che il gruppo".