CARPANESI A FV, IL MIO ’56: BERNARDINI UN MAESTRO, LA CONVIVENZA IL SEGRETO. OGGI...

06.05.2021 13:00 di  Alessandro Di Nardo   vedi letture
CARPANESI A FV, IL MIO ’56: BERNARDINI UN MAESTRO, LA CONVIVENZA IL SEGRETO. OGGI...
FirenzeViola.it

Il 6 maggio 1956, grazie ad un pareggio ottenuto a Trieste, la Fiorentina si laureava per la prima volta campione d'Italia: sono passati 65 anni dal primo scudetto della Fiorentina e per celebrare l’anniversario di quel trionfo la redazione di FirenzeViola.it ha deciso di contattare Sergio Carpanesi, ai tempi poco più che ventenne ma comunque parte integrante del gruppo che Fulvio Bernardini guidò alla conquista del tricolore.Tra nostalgia per il passato ed aneddoti di quel periodo l’ex-viola nella lunga chiaccherata che ci ha concesso Carpanesi ci ha parlato anche della Fiorentina di oggi, spiegando cosa potrebbe copiare dalla sua vecchia squadra:”Quella di allora era una squadra costruita con intelligenza e che si affidava a grandi individualità, una difesa collaudata, un centrocampo tra i migliori e degli attaccanti formidabili. Era una squadra che andava a Torino e vinceva, andava a Milano e vinceva, eravamo consapevoli della nostra forza. Quella squadra era stata costruita da un presidente come Befani che era un imprenditore di Prato con qualche fondo ma che non aveva la forza economica dei Lauro o dei Moratti, ma sapeva muoversi nel mondo del calcio ed ha costruito un meccanismo che ancora oggi dovrebbe essere preso ad esempio. A livello giovanile abbiamo vinto quasi tutto, poi Bernardini mi portò in prima squadra, è stato fondamentale per me. 


Proprio sulla figura di Fulvio Bernardini, allenatore di quella squadra, cosa ci può dire su di lui?
“Non lo consideravo un allenatore, era molto di più.Considerava ognuno di noi come importante per la squadra, anche quelli che non giocavano mai. Mi fece esordire contro la Spal e segnai il gol decisivo, una giornata indimenticabile per me. Qualità assoluta ma anche grande competenza. Ci preparava sui punti forti di ogni squadra e ci spiegava come esaltare i nostri, ha fatto un gran lavoro anche negli anni successivi, non dimentichiamoci che l’anno successivo siamo arrivati in finale di Coppa dei Campioni e che nei successivi quattro campionati siamo arrivati quattro volte secondi. Forse meritavamo un altro scudetto, ma comunque Bernardini ci ha fatto crescere a tutti.Per me è stato un maestro”. 

Ripercorrendo quell’annata sembra sia stata perfetta, c’è stato qualche momento difficile? 
“Più che un momento, un rimpianto, a scudetto già conquistato. Infatti dopo aver vinto il campionato perdemmo una delle ultime partite contro il Genoa, sconfitta che ha interrotto la nostra imbattibilità che durava da più di un anno, una piccola macchia che non ha inciso sul campionato ma mi ricordo che quel giorno comunque eravamo arrabbiati. Questo fa capire la mentalità di quel gruppo”.

Facendo un salto all’attualità, come vede la Fiorentina in questo finale di campionato?
“Io credo che rischi ancora, come tutte quelle in basso in classifica. Ci sono scontri diretti molto importanti nelle prossime settimane, mentre alcune squadre affronteranno avversari già con la testa alla prossima stagione. In generale, non capisco come la Fiorentina sia finita lì, è una squadra che dovrebbe lottare almeno per i primi tre posti. Ha un presidente nuovo ma deve avere la possibilità di spendere e portare innovazioni, se ogni anno però si stravolge l’organico non si formerà mai una squadra collaudata, serve continuità”.

Cosa è che può prendere spunto questa Fiorentina dalla vostra?
“Difficile paragonarle, sono due tipi di calcio e due epoche diverse. Noi eravamo un vero gruppo, condividevamo la maggior parte del tempo insieme e anche il clima nello spogliatoio era completamente diverso da quello di ora. Si scherzava molto ricordo, Magnini era uno dei più giocherelloni, ma c’era comunque un rispetto assoluto, soprattutto per i più anziani: mi ricordo ad esempio che in tutto il periodo in cui abbiamo giocato insieme non ho mai dato del tu a Rosetta, per me era anche quella un segno di rispetto per i più vecchi. Quindi direi che bisognerebbe iniziare da prendere spunto innanzitutto dai modi, ma poi anche dalla progettazione della squadra. Poi certo, servono i fuoriclasse e noi ne avevamo molti”.