SACCHI, Il calcio non diverte
«Il calcio è la cosa più importante fra le cose meno importanti». Filosofia a dosi omeopatiche di mister Arrigo Sacchi da Fusignano, l’ex venditore di scarpe che rivoluzionò il football made in Italia sullo sfiorire degli anni ’80. Ed è un Sacchi in splendida forma - tirato a lucido, cranio rasato, abbronzatura e sorriso sobrio in dote - che stringe mani, saluta e sforna aneddoti. Tutto questo mentre varca l’ingresso del municipio di Pietrasanta dove lo attendono gli amministratori locali per un abbraccio istituzionale in attesa di ricevere il Premio Focette 2007 - in agenda ieri sera - per “meriti sportivi”.
Arrigo l’imperatore, incassa i complimenti e si volta indietro. «Il riconoscimento di World Soccer che ha definito il Milan 89 la squadra di club più forte di tutti i tempi, mi inorgoglisce. Il nostro obiettivo era vincere e convincere: Van Basten, un grande professionista, non lo capiva allora, però oggi questa filosofia la sta applicando nella sua nazionale».
Mister Arrigo, si diverte ancora a vedere il calcio di casa nostra?
«Per la verità non molto. E, mi sembra, che neppure gli sportivi si appassionano più di tanto. Siamo la nazionale campione del mondo ed il Milan ha vinto la Champions, eppure la gente fugge dagli stadi. Violenza, impianti inadeguati, tifo contro, scandali: non è un bel vedere. Se a tutto questo quadro ci aggiungiamo uno spettacolo sul campo spesso speculativo, legato alla logica del solo risultato, con allenatori, pur molto bravi condizionati dalle pressioni delle società, il quadretto a tinte sgradevoli è completo. Eppure questo è uno sport splendido».
Le fa piacere quando dividono il calcio italico in pre-Sacchi e post-Sacchi?
«Sono affermazioni che ti fanno pensare. Quando giravo l’Europa per vendere scarpe, l’Italia veniva accostata a mafia, pizza e catenaccio. Per i primi due aspetti, non potevo fare niente, per la terza, ho fatto quanto era nelle mie possibilità: un’idea di calcio offensivo, cercando di divertire la gente, perché questo è un gioco e tale deve essere per la gente. Poi si può perdere».
Chi vincerà il campionato?
«Difficile rispondere: l’Inter è una fuoriserie, Mancini è molto bravo, ma non c’è sempre coordinazione, fra tecnico, staff e società. L’ambiente è fondamentale per vincere. E la benzina per far correre una fuoriserie si chiama serenità...
Mi piace la Roma, per lo splendido gioco che mette in mostra grazie al bravo Spalletti. Il Milan? Gran possesso palla, è l’unica con una vera mentalità internazionale, uno splendido gruppo, ma un po’ su con l’età. Arriverà qualcuno a centrocampo. Ed è poi bello rivedere la Juventus in serie A, ma nella nostra memoria deve restare ben impresso il motivo che ha portato questa grande squadra alla retrocessione».
Chi è stato il più grande giocatore che ha incontrato nella sua carriera di allenatore?
«Diego Maradona. Un campione senza uguali, ma grandi erano anche Van Basten e gli italiani del mio Milan».
E Berlusconi presidente di club come lo giudica?
«Intelligente, sensibile, rispettoso del lavoro altrui. Un aneddoto: una volta disse che non aveva speso 100 miliardi di lire per vedere giocare Angelo Colombo, motore di centrocampo di quel Milan. Bene, Colombo giocò titolare per 3 anni e alla fine era Berlusconi a non volerlo vedere andare via dal Milan».
E di questa usanza di rivedere, da parte di giocatori e procuratori, i contratti pluriennali firmati con le società, cosa ne pensa?
«Pessima abitudine. Ci vuole più serietà. E le società devono essere ferme quando campioni chiedono aumenti. Anche questo fa male al calcio».
Ma rivedremo Arrigo Sacchi su una panchina?
«C’è un tempo per tutto ed il mio è passato. Ma, in tutta onestà, mai dire mai. Non tornerei, però, certo per soldi».
Mister, più grande il suo Milan o l’Inter di Herrera e Moratti senior?
«L’Inter, sa, era il club per cui tifavo da giovane. Bene, quella squadra vinse molto ed aveva splendidi campioni, ma pochi la ricordano perché non esprimeva un gioco divertente. I protagonisti del mondo del calcio devono avere rispetto per gli sportivi ed il rispetto si porta anche facendo il possibile per giocare bene. Allora sì che il ricordo di certe partite mai verrà meno».