PRANDELLI, Non è il momento di giocare

03.04.2020 17:00 di Redazione FV Twitter:    vedi letture
Fonte: piazzalevante.it
PRANDELLI, Non è il momento di giocare
FirenzeViola.it
© foto di Federico De Luca

In una lunga intervista l'ex allenatore della Fiorentina Cesare Prandelli ha parlato della situazione attuale e anche di come il calcio sta rispondendo all'emergenza Coronavirus: "Non riesco ad accettare che una persona lasci la propria famiglia e muoia da solo, senza una carezza, un bacio, un ultimo saluto. Quando nasce un bambino siamo tutti lì a festeggiarlo, ora si chiude la porta dell’ambulanza e ti resta solo il ricordo di una vita. Non è giusto, non lo posso accettare. Mi fa troppo male”.

Ha perso un grande amico.
“Dalfio era un vero amico. Mi seguiva da una vita, ci volevamo bene. L’ho incontrato anche quella mattina. Ho pure scherzato: ‘Io ho il fisico, ma tu sei cagionevole. Vai a casa…’. Poi ho sentito sua moglie. Era distrutta. Non ha potuto neppure salutarlo. Ho perso molti amici e conoscenti: un prete, un medico, un rappresentante… A Orzinuovi, 13.000 abitanti, morivano in media 100 persone all’anno. Ne sono morte 90 in tre settimane. Una strage. Se muore un anziano, si commenta: ‘Vabbè, aveva 80 anni…’. Ma quei vecchi hanno fatto la nostra storia, ci hanno permesso di essere quello che siamo. Forse domani riserveremo agli anziani più rispetto”.

I suoi parenti come stanno?
“Ho uno zio e altri contagiati. La moglie di un mio cugino è medico e vive separata in casa da marito e figli. Mia mamma sta bene, per fortuna. È assistita da una badante e dalle mie due sorelle. Penso a loro continuamente e quando suona il cellulare ho paura”.

Quando potrà rimettersi in moto il mondo del calcio?
“Sono sincero, per ora ho un sentimento di repulsione. Io associo il calcio al divertimento, alla gioia. Questo non è il momento del calcio. Bisogna lasciare decantare il lutto e il dolore. Ci vuole rispetto per chi ha sofferto. Non si può passare dal cimitero allo stadio in un giorno; da un convoglio di 150 bare a festeggiare un gol. Se il calcio perde 3 o 4 mesi non cambia nulla. Non devono essere pronti a giocare solo i calciatori, ma anche la gente. Per me il calcio è gioia, portare le famiglie e i bambini allo stadio. Aggregazione, festa. Dobbiamo prendere tempo. Le condizioni di sicurezza non bastano”.

Si sente a suo agio in questo calcio?
“Diciamo che quando sei in mezzo al campo assolutamente sì. Alla base resta sempre una grande passione per il tuo lavoro, accetti situazioni che se rifletti non dovresti accettare. Quest’anno ho detto di no a tutti, soprattutto squadre estere. Perché tutto quello che fa da contorno al campo è sempre più complicato. Negli ultimi anni stanno cercando un po’ tutti di allontanare la gente dalle squadre, invece bisognerebbe tornare un po’ all’antica. Perché il calcio giocato è un toccasana per tutti, la magia di quei novanta minuti ti fa dimenticare ogni problema”.

Un suo collega diceva che oggi accettare la chiamata di qualche presidente è come gettarsi in una piscina senz’acqua.
“C’è un equilibrio tra le motivazioni, gli stimoli, la voglia di rimettersi in discussione. Poi però ti accorgi, quando sei fermo e vedi la tua professione con più distacco, che il calcio resta sempre una materia complicata, ma tante volte bastano due partite fatte bene e recuperi tutte le motivazioni. Agli allenatori dico che non bisogna mai mollare. Si ricomincia sempre. Ti chiamano a mezzanotte, ti dicono ci vediamo domani e provi quella scarica di adrenalina che ti fa dire di sì”.