ARBITRARE in Serie D: come minimo è pericoloso

24.02.2007 07:57 di  Andrea Pasquinucci   vedi letture
Fonte: Paolo Carbone per tmwnews.it
Matteo Apricena, 48 anni, fisico longilineo e asciutto, prima giocatore, poi un infortunio lo dirotta verso l'arbitraggio e quindi verso la carriera dirigenziale nell'AIA. Una carriera che dura ormai da quasi una decina d'anni e che lo ha condotto - questa è la seconda stagione - a diventare designatore della Serie D. Per capirci, l'equivalente di ciò che Gussoni è in CAN A-B. Detto velocemente dell'uomo, vediamo qual è il contesto nel quale agisce settimanalmente, anche perché non crediamo che la Serie D sia poi così conosciuta. Vediamo allora. La Serie D consta di 9 gironi di 18 squadre ciascuno, per un totale di 162 compagini che danno vita a 81 partite settimanali per altrettante designazioni. Andiamo ai particolari. Ogni settimana vanno sui campi 81 arbitri. Ma in tutto gli arbitri di Serie D fra i quali scegliere quanti sono? "Sono 202" E' difficile orizzontarsi di fronte a una schiera così robusta? "No, non è difficile. Basta saper accoppiare adeguatamente la difficoltà della gara con le capacità dell'arbitro" In Serie D quali sono i problemi e, fra questi, qual è il problema maggiore? "Credo che, al di là del momento storico che stiamo attraversando e vivendo, il problema più evidente sia quello dell'educazione sportiva. Penso cioè che l'approccio al gioco del calcio sia del tutto diverso dall'avvicinamento ad altre discipline sportive. Io per esempio ho due figlie che giocano entrambe a pallavolo. Ed è un piacere assistere a una partita nella quale chi è più bravo in genere vince. Anche lì c'è un arbitro che non viene mai contestato. Nel calcio, viceversa, ogni evento, ogni errore viene imputato alla direzione arbitrale, e non c'è mai l'accettazione della sconfitta o il riconoscimento della maggiore abilità dell'avversario. E non ho mai capito il perché. Resta fermo in ogni caso che il calcio è radicalmente cambiato rispetto a 25-30 anni or sono, quando giocavo e poi cominciai a fare l'arbitro. Allora nella società civile c'era il rispetto per le istituzioni e per l'autorità ed era un rispetto, diciamo così, generalizzato, molto più costante e diffuso rispetto alla realtà d'oggi che consente di ottenere tutto e molto velocemente" Quindi quella cultura sportiva che magari anni fa non era molta, oggi come oggi si è totalmente dissolta... "Secondo me sì. Ma lo si vede anche dalle piccole cose. Per esempio - premesso che i miei arbitri sono tutti bravissimi ragazzi - il rispetto delle procedure è oggi più tenue e meno sentito rispetto agli anni miei. Se a me dicevano di comunicare entro le ore 24 l'accettazione della partita, io eseguivo. Oggi non è detto che avvenga e talvolta li devi rincorrere, e stiamo parlando di giovani che hanno delle responsabilità nel complesso maggiori rispetto ai loro attuali coetanei" Qual è l'età media dei 200arbitri che lei governa? "L'età media è di 27 anni" Quindi è un'età abbastanza matura, o no? "Non lo so se sono abbastanza maturi. Diciamo che la loro è una maturità un po' diversa per esempio rispetto a quella mia. Io a 24 anni mi sono sposato, mi sono accollato un mutuo ed ho avuto responsabilità diverse rispetto a oggi. Il 27enne di oggi è ancora studente, vive ancora con i genitori perché gli è difficile trovare un lavoro ed ha paura di tutta una serie di situazioni che la vita quotidiana propone. Credo insomma che oggi il 27enne medio debba ancora crescere e maturare molto" In termini di maturità arbitrale come giudica i suoi tesserati? "Hanno ancora molto da imparare" Se capisco bene, lei vuol dire che in passato, a 27 anni, c'erano arbitri migliori... "Secondo me, sì. Ovviamente faccio riferimento a 25 anni fa, quando c'era uno spirito di sacrificio maggiore e ci si affacciava sul mondo civile con tempi assai più anticipati rispetti ad oggi. In altri termini, gli anni '70 hanno prodotto meno diplomati e laureati rispetto a oggi, quindi il livello culturale si è elevato, e ben venga, ma l'approccio al sacrificio è parecchio diminuito" Problema assai pesante: le condizioni ambientali nelle quali operano i suoi arbitri. Condizioni come minimo difficili, per non dire di quelle dei campionati inferiori... "Guardi, sono 9 anni che sono dirigente dell'AIA e la trafila dal gradino più basso, e poi a salire, l'ho fatta tutta. Diciamo che già ne ho viste di tutti i colori. E allora, punto primo. I genitori dovrebbero assistere alle partite con maggiore distacco. Evidentemente riversano sui figli aspettative che loro non sono riusciti a conseguire e li fanno crescere male. Punto secondo. Manca del tutto, a livello di società, la formazione dei dirigenti. Quando arbitravo, c'era il dirigente addetto all'arbitro che era la persona più tranquilla del mondo e si dedicava alla terna tutelandola in ogni momento. Oggi questa preparazione è venuta meno perché conta di più avere i soldi per potersi iscrivere al campionato piuttosto che verificare le qualità caratteriali, umane e culturali dei diversi soggetti. Punto terzo è il problema della sicurezza. Lo dico chiaramente: oggi arbitrare nei campionati 'di periferia', qualunque essi siano, al di sotto della Serie D, è assai pericoloso perché esistono carenze strutturali degli impianti, perché viene meno la forza pubblica, perché ci sono dirigenti carenti e privi di qualità per non dire dei genitori, incapaci di recidere i rispettivi cordoni ombelicali. Accanto a quello della violenza fisica c'è poi l'aspetto della violenza psicologica. Un ragazzo che merita rispetto perché onora un hobby particolarmente oneroso per le connesse responsabilità dovrebbe essere accolto con serenità ed educazione per farlo esprimere al meglio. Invece ho constatato più volte che fin dall'arrivo sul terreno si scatenano pressioni e violenze che nulla hanno a che vedere con l'educazione e con lo sport, anche da parte di giocatori e dirigenti. Il che indica un problema di mentalità ed educazione che dovrebbe partire dalla scuola" Molte delle squadre della Serie D non sono certo espressione di borgate o piccoli centri. Devo ricordare Vercelli (7 scudetti) e Alessandria, Macerata e Montevarchi, Cosenza e Siracusa per non dire di Como, Belluno, Imperia eccetera. Ora possibile che violenze, proteste e altro avvengano anche in queste località che possiamo considerare alquanto evolute? "Secondo me non è la città o la storia della società che determina l'atto di violenza, sono sempre le persone. Ripeto: è un problema di mentalità, di riconoscere la bravura altrui, perché se l'educazione ognuno l'avesse dentro ogni violenza verrebbe meno a Genzano e ad Alessandria. Quindi non è questione di località, ma di cultura personale che c'è o non c'è, con quel che segue" Nella pratica e nell'immediatezza che cosa si può fare? "Nell'immediatezza ci dev'essere la certezza della pena. Chi sbaglia paga. Da osservatore dico che il provvedimento disciplinare preso per un certo fatto di gioco deve essere lo stesso dalla Serie A fino agli allievi. Invece l'impressione è che si intervenga in base a elementi specifici e particolari. La Serie A, che è una sorta di linea guida, dovrebbe fornire precise linee di severità da adottare poi per tutti e tali da educare l'utente. Questo sarebbe un vantaggio per i campionati minori e migliorerebbe la cultura sportiva" Quindi ci sarebbe una severità sportiva che aumenta man mano che si scende di categoria? "Guardi, io vedo in TV che un giocatore reagisce ad un fallo con una pedata. Se in certi campionati arrivano 3 turni di squalifica, in altri tornei questo non avviene. E fin qui parlo da utente al quale forse mancano altri elementi di giudizio. In Serie D, dopo che un nostro assistente era stato colpito, la società ha avuto il campo squalificato fino al 31 dicembre. L'anno scorso l'Aprilia, che era prima in classifica, dopo una serie di fatti a dir poco incresciosi, è stata retrocessa all'ultimo posto ed è stata spedita nei campionati regionali. Io parlo della Serie A perchè la Serie A la vedono tutti ed è un veicolo. di educazione e di formazione permanente, per cui se l'insegnamento che ne viene è valido ci saranno vantaggi e benefici per tutti" A corredo della memoria di tutti, è da ricordare quanto ha detto di recente Cesare Gussoni, presidente dell'AIA e designatore di Serie A-B. Nei campionati cosiddetti "minori", negli ultimi 5 anni, gli arbitri hanno subìto 2088 aggressioni, nel 95% dei casi ad opera di tesserati (giocatori e dirigenti). Tirate voi qualche conclusione.