Napolitano: "La 'favola' di Commisso che dall'autorimessa di casa fondò Mediacom"
Salvatore Napolitano, noto giornalista esperto di finanza, ha redatto un approfondimento sulla storia di Rocco Commisso e di come abbia avviato la sua azienda, la Mediacom, negli Stati Uniti prima di arrivare a investire nel calcio e nella Fiorentina. Napolitano racconta di come Commisso abbia fondato la propria azienda, andando oltre al racconto dello stesso imprenditore che ha sempre parlato di un'azienda fondata partendo dall'autorimessa di casa: "Per capire meglio come è nata Mediacom, faremo un viaggio nei bilanci e nei numerosi documenti del passato, depositati presso la Sec, la Consob americana, come ad esempio le 1.324 pagine di un prospetto informativo del 19 giugno 1998, necessario per ottenere il via libera a un prestito obbligazionario di 200 milioni di dollari - esordisce Napolitano sulle pagine de Il Napolista - Sì, perché Mediacom nasce e resta in vita grazie a un gigantesco flusso di finanziamenti, oggettivamente spropositato rispetto alle proprie dimensioni.
La strategia è esplicita sin dagli albori: acquisire aziende proprietarie di sistemi tv via cavo, in non eccellenti condizioni economico-finanziarie, che si trovino nelle aree meno popolate degli Usa, ma con alta probabilità di sviluppo demografico.
Per attuare la strategia occorrono soldi, montagne di soldi, di cui Mediacom non dispone, essendo partita con un patrimonio netto di soli 5,49 milioni.
Nonostante ciò, entro il 1999 riesce a completare l’acquisto di 10 società, mettendo sul piatto ben 1,192 miliardi.
Qual è il risultato di questa vorticosa campagna di acquisizioni? Alla fine del 1999, Mediacom vanta 719mila abbonati. E quanti erano quelli ereditati dalle società fagocitate? 716mila. Né vanno meglio i conti: i ricavi sono cresciuti dai 5,41 milioni del 1996 ai 176,05 milioni del 1999, ma altrettanto hanno fatto le perdite, passate da 1,95 a 81,32 milioni. Eppure, il 4 febbraio 2000, Mediacom è quotata al Nasdaq. In un momento di grande euforia per l'economia statunitense Mediacom è un po' un'imbucata alla festa, che tuttavia dispone di uno stuolo di accompagnatori importanti: Credit Suisse First Boston e Salomon Smith Barney sono alla guida del consorzio – di cui fanno parte anche Goldman Sachs, Merrill Lynch e Chase Securities – che garantisce il buon esito del collocamento di 20 milioni di azioni.
Prima della quotazione, i 54,615 milioni di patrimonio netto erano suddivisi in 70 milioni di azioni del valore nominale di un centesimo, forse in omaggio a zio Paperone, e dunque il valore contabile di un’azione era di 78 centesimi: ebbene, il prezzo di collocamento è 19 dollari. Sia chiaro, non la prima né l’ultima magìa della finanza. Brinda il cassiere di Mediacom per l’incasso di 380 milioni, da cui detrarre un obolo di 25,6 milioni per le banche collocatrici. Il bis poco più di un anno dopo, con un collocamento di 29,9 milioni di azioni al prezzo di 15,22 dollari per un incasso lordo di 455,08 milioni e netto di 432,89. L’apparizione di Mediacom al Nasdaq dura pochi anni: il 4 marzo 2011 abbandona il mercato e Commisso ne diventa il padrone assoluto. Bilancio per gli azionisti? Zero dividendi incassati e prezzo finale di 8,75 dollari. Ma a qualcuno è andata peggio; nel quarto trimestre 2008, a causa dell’onda generata dal fallimento di Lehman Brothers, il titolo era sceso al minimo di 2 dollari.
Andamento borsistico a parte, come procede Mediacom in quegli stessi anni? Nel 2000 acquisisce altre 9 società con 53mila abbonati per un esborso complessivo di 109 milioni. Ma allo stesso tempo, nel periodo che va dal 2001 al 2005, sono drammatiche sia le perdite che l'indebitamento: il fatturato è cresciuto di record in record fino a 1,10 miliardi, ma altrettanto hanno fatto le perdite, salite nel 2005 a 222,23 milioni, mentre il debito netto ha sfondato di poco i 3 miliardi. Tre anni dopo, alla fine del 2008, le perdite complessive dall’inizio dell’attività ammontano a 1,20 miliardi, il debito netto è a 3,25 miliardi e il patrimonio netto è addirittura negativo per 346,64 milioni.
Nel 2009 però, la legislazione fiscale, dà una mano a Mediacom e gli permette di ottenere un beneficio non monetario: in sostanza, si tratta di attività fiscali differite, legate in gran parte alle perdite operative nette accumulate. L’operazione è provvidenziale per i conti: il beneficio fiscale, pari a ben 662,4 milioni, fa risultare un utile di 744,07 milioni, riportando in positivo il patrimonio netto, a 265,03 milioni, ma, non avendo carattere monetario, essa non ha influito sul debito netto, salito a 3,28 miliardi.
In seguito, una volta che Mediacom è uscita dal Nasdaq, la società viene "liberata" dall'obbligo di certificazione dei bilanci e di informazioni dettagliate e quindi viene meno anche la trasparenza. Questo porta a un decrescendo di informazioni, assolutamente consentito dalla legge, ma che non permette di analizzare l'andamento economico della stessa società. I dati, tra l'altro, si interrompono il 23 febbraio 2022. Certo, l’andamento crescente dei ricavi – 100 trimestri consecutivi in aumento – e decrescente dei debiti netti, scesi a 1,232 miliardi, fa considerare come sicuro il raggiungimento dell’utile, ma non l’anno in cui ciò è accaduto, né la sua entità complessiva. Nonostante un’informazione frammentaria, i ricavi sono ben descritti, e la scoperta è interessante: gli abbonati alla tv via cavo hanno un’impennata a 1,595 milioni nel 2001, ma da allora in poi è un’emorragia continua, fino ai 572mila abbonati nel 2021, cioè meno di quelli del 1999. Se Mediacom ha accresciuto il fatturato è per essersi gettata in altri settori, che nel piano industriale iniziale – quello in base al quale si racconta siano legati i massicci finanziamenti – non erano stati neppure considerati: trasmissione dati, digitalizzazione e telefonia.
Curiosa anche l'architettura del gruppo, prima delle modifiche indispensabili per l'approdo in Borsa: la capogruppo a New York, cinque controllate, quattro delle quali sono filiali operative con sede nel paradiso fiscale del Delaware, l’altra che deve solo reperire i finanziamenti necessari e che parte con un capitale sociale di 100 dollari: roba da ricchi. E la capogruppo possiede il 100% delle controllate, tranne una, Mediacom California LLC, di cui ha il 99%, mentre l’1% è in mano alla Mediacom Management Corporation, capitale 45.000 dollari e unico proprietario Commisso: essa ha il solo scopo di ricevere dalle società del gruppo gli emolumenti destinati ai dirigenti e di versarli nelle loro tasche. Commisso risulta possedere solo il 9,65% mentre la maggioranza è in mano a Morris Communications, gruppo multimediale di Augusta in Georgia, con il 64,52%. Con l’ingresso in Borsa, tramite accordo con i soci, Commisso balza al 41,46% del capitale e all’87,63% dei voti, Morris Communications scende al 40,76% del capitale e all’8,62% dei voti e, nel 2009, esce per sempre dall’azionariato, accontentandosi di un prezzo di 6,5 dollari per azione".
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