MOGGI, Il potere è nelle mani di Petrucci e Carraro

11.08.2007 09:57 di  Redazione FV   vedi letture
Fonte: Il Tirreno

«In quei venti giorni terribili ho pensato a tutto». Anche al suicidio? «A tutto».
Duemilacinquecento anime calcistiche in fila per Luciano Moggi: il Caffè de La Versiliana di Marina di Pietrasanta, nel tardo pomeriggio di ieri, straboccava di gente: orfani bianconeri della triade che fu, ma anche supporters inviperiti per tanti sogni scippati.
A scanso di equivoci, Moggi stravince in termini di consenso: certo, si vede piovere contro più di un insulto, «vergognati» e «buffone» i più gettonati, ma alla fine della giostra oratoria esce fra autografi e processioni plaudenti per ottenere una foto con «quello che hanno sbattuto sui giornali come il mostro. Ma il mostro non ero io» afferma. Ed è proprio al crepuscolo della giornata, ai microfoni di Italia 1, che l’ex direttore della Juventus ammette di «aver provato, nell’immediato del deflagrare dello scandalo, alle cose peggiori. Poi, grazie alla fede, sono riemerso».
E’ un Moggi guerriero che non ammette nessuna colpa, «mi sono sempre difeso», con lancia tesa contro Gianni Petrucci, presidente del Coni, Massimo Moratti, numero uno dell’Inter e ancora l’ex presidente della Figc Franco Carraro. «Guardate il caso del tesserato di Lorbek della Benetton finito in camera di conciliazione, dove si parla di un intervento diretto del presidente del Coni. Un fatto grave che conferma quanto da sempre dico: il potere non era nelle mani di Moggi e Giraudo, ma di Petrucci e Carraro. Vediamo un po’ se pagheranno per quanto fatto. In fondo Guido Rossi, una volta lasciato il suo incarico di commissario, disse che il calcio non voleva cambiare».
Poi Moratti e l’Inter. «Il presidente dell’Inter è una brava persona, ma poi, forse per astinenza alla vittoria, allo stadio diventa un ultrà. Mi ricorda Pasquale Bruno, detto ‘o animale’, che in campo si trasformava. Anche Facchetti parlava con i designatori arbitrali, così come Meani, mica solo noi e sempre noi non avevamo di certo la possibilità di poter contare sul supporto di Telecom. Le schede telefoniche svizzere da me acquistate? Servivano per difendermi dallo spionaggio: tessevo le fila per un giocatore e mi ritrovavo altri piombare sul campione di turno. Del resto è Tavaroli, uomo di spicco della security Telecom a dirlo, non Moggi, che intercettavano. E hanno cominciato a farlo dopo che ho detto no alle proposte di ingaggio di Moratti. Parlai anche con Berlusconi; dopo quell’incontro è scoppiato lo scandalo».


E la Gea? «Ma se avrò fatto le scale della società tre volte in vita mia. Acquistato giocatori gestiti da mio figlio? Solo se buoni, questo era l’unico requisito». In prima fila, ad ascoltare il guru del calcio italiano, c’è l’ex designatore arbitrale Paolo Bergamo. Che dice: «Certo che parlavo con Moggi. Così come parlavo con Facchetti e tutti gli altri dirigenti di Milan, Roma, Livorno, Lazio e compagnia. Tutti, perché era lecito e lo facevo in modo trasparente. Venivano a trovarmi anche a casa mia, questi dirigenti».
I colori bianconeri, Moggi non riesce a dimenticarli. «Vincevamo perché eravamo bravi a scegliere i migliori giocatori. Un ritorno alla Juve è impossibile: il legale, nel processo sportivo, ha difeso in modo sbagliato la società. Società che ci ha lasciato soli, senza difenderci. Diverso sarebbe stato con la famiglia Agnelli alle spalle».
Infine, pillole di calcio giocato. «L’Inter vincerà il campionato con 15 punti di vantaggio. Del resto domina con i nostri giocatori e andrà avanti per altri 3 anni. La Juventus? Buona squadra, dietro a Milan, Roma e Fiorentina, però. E quando le milanesi dicono che Ranieri potrà giocarsi il titolo, lo prendono semplicemente in giro. Il mio prossimo obiettivo? Pubblicherò un libro». Altre verità, altri veleni in arrivo.