"OCCHI PUNTATI SU..." Martin Jorgensen. Così Prandelli ritrova il suo capitano
Cesare Prandelli e Martin Jorgensen vivono oramai in simbiosi. Andiamo oltre: non si capisce dove cominci uno e finisca l'altro, tale è la stima e l'affetto reciproco che li rende l'uno necessario all'altro. Jorgensen arriva alla Fiorentina nell'estate del 2004 per merito della coppia Lucchesi-Galli e non tarda ad imporsi sulla piazza fiorentina. Silenzioso, ironico, arguto, ma sopratutto eccellente giocatore da qualsiasi parte lo si osservi. Tecnicamente poco nordico, in possesso di un buon dribbling e spiccato senso del gol, disputa 7 campionati ad alto livello nell'Udinese prima di approdare in riva all'Arno. Il 2004-2005, il primo in viola, sarà un anno sfortunato dove comunque "Martino" sarà fra i pochi a salvarsi ed essendo in comproprietà tra Fiorentina ed Udinese viene riscattato dal neo direttore sportivo Pantaleo Corvino a zero euro in un gioco di buste "fantasma". La stagione dopo, con Prandelli sulla panchina viola, il danese esplode disputando 37 partite con 7 reti, mentre l'anno dopo, quello della penalizzazione, Jorgensen si ferma a 35 con soli 3 gol. Il rendimento è comunque alto e la stagione seguente con ormai alle spalle una lunga e usurante carriera italiana, le partite scendono a 26 con zero gol realizzati.
Il ruolo di Jorgensen è un rebus di difficile ma affascinante soluzione. Negli anni di Udine giostra come esterno sinistro alto (anche se è destro naturale) nel 3-4-3 di Spalletti prima e di Zaccheroni poi. Quindi a Firenze il primo anno gioca spesso da seconda punta insieme a Miccoli o rifinitore dietro al leccese e Riganò, mentre la stagione seguente torna a fare il suo vecchio ruolo di tornante di sinistra. E' nel campionato scorso che avviene la trasformazione: da esterno a centrocampista e, addirittura, a terzino destro, ruolo che ricopre per tutta la seconda parte di stagione con Ujfalusi spostato al centro accanto a Gamberini. Jorgensen non tradisce mai, mostra una duttilità sconcertante ed un intelligenza tattica mostruosa tanto che a Firenze c'è chi scommette che prima o poi farà anche il portiere. Il discorso sulla posizione in campo del danese ci porta ai giorni nostri ed all'imprescindibilità di "Martino" negli schemi di Prandelli o per meglio dire, alla sua imprescindibilità all'interno della squadra, in campo e nello spogliatoio dove porta la sua esperienza, il suo carisma, la sua personalità. Così si spiega quella "voglia matta" del mister viola di ributtarlo in campo quanto prima, rischiandolo, esponendolo alla brutta figura di Amsterdam ma facendogli mettere nelle gambe minuti preziosi per affrettarne il recupero. Jorgensen è, da sempre, il capitano morale della Fiorentina, il leader silenzioso, la figura di riferimento per compagni, allenatore e dirigenti, e la malattia della quale è stato vittima nei primi sei mesi della stagione è stata una vera iattura per la Fiorentina. Ed ecco, allora, la grande invenzione di Cesare: dopo due esperimenti (due spezzoni) da trequartista tra le linee, ruolo evidentemente troppo dispendioso per lo Jorgensen di oggi, ecco il danese riciclato come vertice basso in un rombo rovesciato rispetto al solito, con Felipe Melo nel ruolo che fu di Santana e Jorgensen vice-Melo davanti alla difesa. Risultato: 80 minuti eccellenti contro l'Inter a "San Siro" dove Martin gioca l'82% di palloni, vince sette contrasti, subisce 3 falli senza farne alcuno e va una volta alla conclusione con un tiro di poco alto. Il gioco della Fiorentina si svolge per il 44% in mezzo al campo e non è un caso quando c'è un catalizzatore come il danese. Ma sopratutto Martin dà ordine alla squadra, recupera un numero imprecisato di palloni, permette a Melo di fare "l'elastico" che voleva Prandelli fra il centrocampo e l'attacco. Jorgensen panacea di tutti i mali della Fiorentina? Forse no, ma è certo che la soluzione dei problemi viola nasce dalla presenza, indispensabile, del danese in campo. Per il ruolo, beh...fatelo scegliere a lui, non vi deluderà.