MIHAJLOVIC, Firenze? Così bella e così ostile
Alchimia. Con il ritorno di Cesare Prandelli sulla panchina della Fiorentina, il vocabolario viola torna ad aprirsi sulla parola che l’allenatore conosce meglio. Alchimia. Eppure il finale della sua prima avventura, non fu tutta rose e fiori. Con la fine di quel ciclo di giocatori e i primi effetti dell’autofinanziamento imposto dalla società, anche per il tecnico che più di tutti ha saputo capire e in molti casi «allenare» la città, non fu facile gestire l’ambizione (spesso superiore alle reali possibilità) trasformata in frustrazione dei tifosi viola. Perché quell’estate del 2010 ha segnato un punto di svolta nella storia recente della Fiorentina: se fino ad allora per i Della Valle era stato primario il risultato sportivo (con l’indimenticabile avventura in Champions), da quel momento in poi fu l’equilibrio dei conti la nuova stella polare.
Un momento di passaggio che, dieci anni dopo, Sinisa Mihajlovic racconta dal suo punto di vista nel libro scritto insieme al vicedirettore della «Gazzetta dello Sport» Andrea Di Caro. Nel suo «La partita della vita » (ed. Solferino) Sinisa dedica un intero capitolo a quell’esperienza difficile a una «Firenze così bella da lasciarmi senza fiato, così ostile nei miei confronti da non comprenderne il perché». Un ritratto duro, quello di Sinisa, di una città in cui è difficile lavorare e con cui non è ma sbocciata davvero l’alchimia. Appunto. «Tra un grande amore e un altro serve una storia cuscinetto. E, mio malgrado, quel cuscinetto sono io» , scrive l’allenatore serbo.