ANTOGNONI, Dall'esordio in maglia viola, al "No" ad Agnelli

03.11.2023 22:00 di  Redazione FV  Twitter:    vedi letture
ANTOGNONI, Dall'esordio in maglia viola, al "No" ad Agnelli
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Nel corso di uno speciale del Salotto dello Sport di RTV38 è andata in onda una lunga intervista concessa da Giancarlo Antognoni a Luca Calamai e Mario Tenerani, questi i concetti dell'ex dirigente viola, partendo dal suo rapporto con la città: "Ormai è una vita che vedo il panorama di Firenze, ma già dalla prima volta mi sono innamorato della città e poi successivamente delle persone”. 

Lei è arrivato nel 1972 a Firenze. La prima impressione che ha avuto quale è stata?
“È stato un approccio subito positivo perché conoscevo un po’ la città, c’ero già stato con la nazionale giovanile. Quando si è presentata davanti l’occasione di venire a Firenze, ho accettato”.

Come era Firenze a quel tempo?
“Bella. Non c’era tanta gente, si viaggiava bene. Ho vissuto un periodo molto bello in questa bellissima città, poi ripagata da tutte le cose che sono capitate nella mia carriera calcistica”. 

Sul suo arrivo a Firenze: “Venivo da una situazione di campionato totalmente diversa da quello che ho affrontato poi a Firenze. Vedevo alcuni giocatori come dei miti, come per esempio De Sisti, Clerici, Merlo, Sormani. Mi hanno piano piano inserito in questo contesto”. 

I suoi primi quattro anni a Firenze sono stati incredibili; l’esordio in Serie A a Verona, i gradi di capitano nel ‘76, nel ‘75 il primo trofeo e nel novembre del ‘74 l’esordio in Nazionale a Rotterdam. Sono questi i punti cardinali di questi primi anni o c’è anche altro?
“Sono questi i punti più importanti. L’esordio a Verona e l’esordio in Nazionale, sono i due episodi che mi hanno catapultato come personaggio importante a livello italiano che si è contraddistinto in queste due situazioni, sia in campionato che in Nazionale”.

Lei è stato uno degli uomini simbolo della Fiorentina, considerato intoccabile. È stato un riconoscimento importante che ha contribuito al suo legame con Firenze e la Fiorentina: “L’approccio con Firenze è stato positivo sia con la città, ma anche e soprattutto con i tifosi. È capitata qualche occasione per poter andare via, nel ‘78 dopo i Mondiali in Argentina, l’avvocato Agnelli mi voleva a tutti i costi, fece una proposta molto importante alla Fiorentina, ma io di comune accordo con il presidente Melloni, decisi di restare a Firenze”.

Dire “No” all’avvocato Agnelli in quel periodo, cosa significava? 
“Lui aspirava che io andassi alla Juve. Gli piacevano questi numeri 10, infatti poco dopo prese Platini. Cercava un giocatore con quelle caratteristiche, anche se vincevano quasi sempre loro. Avevano tanti giocatori importanti. La maggior parte della Nazionale era composta praticamente da giocatori della Juve e del Torino. Io ero la pecora nera di quella Nazionale, non era facile potersi inserire. Poi arrivarono i Pontello, che investirono molto sulla Fiorentina, e facemmo dei campionati molto belli, sfiorando lo Scudetto nell’81/82, poi vinto dalla Juventus”.

C’è un qualcosa del passato che vorrebbe cambiare?
“Il rammarico forse è quello di non aver vinto lo Scudetto nell’81/82, dove almeno meritavamo di finire allo spareggio. Tornando indietro nel tempo, un gol lo avevamo fatto anche a Cagliari, annullato poi. Forse in quella partita sarebbe servita un po’ di concretezza in più. Poi i due spareggi la Juve, due 0-0, avremmo dovuto fare qualcosa in più in quelle due gare”.

Ci sono altre due date importanti: novembre dell’81, lo scontro con Martina, e febbraio dell’84, lo scontro con Pellegrini. Si può dire che ha vinto poco a Firenze ma alla città e alla Fiorentina ha dato veramente tanto, quasi la vita?
“Io scagionai subito Martina perché credo sempre nella buona fede delle persone. Se quell’intervento fosse stato voluto, Martina sarebbe stato praticamente da arrestare. Ricordo vagamente l’episodio, l’ho rivisto in televisione poi. E stato un brutto colpo, ma dopo quattro mesi ho ricominciato a giocare, ho fatto i Mondiali nell’82 ed ho sfiorato lo Scudetto con la Fiorentina. Forse è stato peggio il secondo infortunio”.

Il suo allenatore di sempre, chi è?
“Quasi tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno lasciato qualcosa di positivo. È chiaro che uno si ricorda quello che ti fa esordire, perché ha avuto fiducia in me, cioè Nils Liedholm. Poi l’anno dopo Radice, poi Rocco, Mazzone, al quale sono molto legato perché mi ha fatto capitano. In quei tre anni mi ha dato una responsabilità enorme e mi ha migliorato sotto l’aspetto mentale. Poi dall’ottanta in poi ho avuto De Sisti, con il quale ho giocato qualche anno e poi me lo sono ritrovato allenatore. Dal punto di vista dei risultati è stato il migliore allenatore della Fiorentina di quegli anni. Poi ci sono stati Bernardini e Bearzot, al quale sono molto riconoscente, perché per dieci anni mi ha fatto partire titolare in Nazionale e ancora oggi ho il record per aver indossato la maglia numero 10 per più di tutti".

Ha affrontato ed ha giocato assieme a tanti giocatori importanti. Se chiude gli occhi, chi le resta in testa?
“Mi restano in testa Platini, Zico, Passarella, Bertoni, Falcao, Cerezo, Junior. Ogni partita era una battaglia, il livello era molto alto. Negli anni novanta poi sono arrivate le sette sorelle, tra le quali c’era inserita anche la Fiorentina”.