ESCLUSIVA FV, LE VERITÀ DI FREITAS: “RIPRENDEREI EYSSERIC. TOLEDO? SBAGLIAI. VLAHOVIC COME HÅLAND”

07.05.2020 13:00 di  Andrea Giannattasio  Twitter:    vedi letture
ESCLUSIVA FV, LE VERITÀ DI FREITAS: “RIPRENDEREI EYSSERIC. TOLEDO? SBAGLIAI. VLAHOVIC COME HÅLAND”

Carlos Freitas rompe un silenzio durato quasi un anno e sceglie Firenzeviola.it per tornare a parlare per la prima volta in Italia dopo l’interruzione del rapporto di lavoro con la Fiorentina. Per il direttore sportivo portoghese, da pochi mesi divenuto CEO del Vitória Guimarães, tre anni in viola insieme a Pantaleo Corvino, in un’esperienza segnata da una fase di profonda recessione da parte della famiglia Della Valle. Un triennio che tuttavia è servito per porre le solide basi nella Fiorentina attuale, con giocatori come Dragowski, Pezzella, Milenkovic, Chiesa e Vlahovic che - lanciati sotto la sua gestione - oggi sono diventate delle certezze assolute anche in vista del futuro.

Il Portogallo per fortuna è stata una delle Nazioni in Europa meno colpite dal coronavirus: come sta vivendo questo momento?
“C’è stata molta apprensione fino ad oggi perché nessuno era preparato a una cosa del genere. Se vediamo le grandi potenze come gli Stati Unti, la Russia e la Germania nessuno di loro era pronto a sostenere una pandemia così. Qui in Portogallo non abbiamo un servito nazionale di salute che sia paragonabile per posti di terapia intensiva alla stessa Italia però vedendo quello che stava succedendo soprattutto in nel vostro Paese, il Governo è stato intelligente nell’anticipare certe misure e anche la gente prima dello stato di emergenza ha scelto di chiudere tante attività. C’è stato un grande senso di responsabilità da noi. E così il contagio è stato limitato”.

Tanti Paesi in Europa hanno già detto la loro sulla ripresa del calcio: la Francia e i Paesi Bassi da un lato, la Germania - e forse l’Italia - dall’altro. Lei da che parte sta?
“È possibile riprendere perché in ogni aspetto della nostra esistenza non c’è vita senza rischi. Nel mondo del calcio vale lo stesso principio. Ovviamente dobbiamo provare ad anticipare quelli che potranno essere gli scenari davanti a noi, con tutte le misure sanitarie possibili devono essere prese nella difesa dei calciatori, degli allenatori e della gente che lavora nel calcio. Non sarà uguale a prima perché giocare a porte chiuse è un altro sport, il calcio è emozione condivisione e entusiasmo e senso d’appartenenza: dobbiamo essere sinceri. Ma dobbiamo renderci conto che il calcio è un’industria e in Portogallo così come in Italia il peso dei diritti tv è talmente grande che le società hanno bisogno di quei soldi per sostentarsi. Per andare avanti bisogna prendere un po’ di rischi ma ricominciare: la gente ha bisogno di calcio, di divertirsi un po’ in questo momento”.

Da qualche mese è diventato CEO del Vitória Guimarães: come si trova in questo nuovo ruolo dopo un’intera carriera da direttore sportivo?
“Dopo l’Italia ho avuto la possibilità di continuare all’estero, non lo nascondo, ma in questa fase della mia vita privata e professionale volevo tornare in Portogallo. È un ambiente che conosco, anche se per cinque anni sono stato fuori da casa mia: un po’ mi sono dovuto riadattare e anche in fretta. La società ha molta ambizione, la piazza ha tanto entusiasmo e il fatto che i cittadini di Guimarães tifino solo il Vitória e non altre squadre aiuta a coltivare questo spirito. Si può dire che per fede e devozione verso il club del posto, Guimarães sia come Firenze, dove si tifa solo Fiorentina”.

Parliamo di viola adesso: quando ripensa ai suoi tre anni a Firenze qual è il primo ricordo che le viene in mente?
“Il sentimento di gratitudine per l’opportunità che mi è stata concessa e per l’accoglienza che la gente mi ha sempre dato: rimane il rammarico di non aver ottenuto i traguardi sportivi che una città come Firenze si meritava, ovvero di stare sempre in Europa, ma non bisogna sempre far polemica. I tre anni sono stati quelli che sono stati: è chiaro a tutti ormai che c’è stata difficoltà fin da subito nel mettere a posto i bilanci e cercare di restare competitivi. Tuttavia il triennio è stato importante perché sono state gettate le basi per la crescita di giovani talenti. Credetemi, fare tutto questo in una volta non è facile: non ci scordiamo che nelle due mie prime stagioni la Fiorentina è stata a un passo dalla qualificazione europea”.

Quali sono stati i momenti più belli e più brutti vissuti a Firenze?
“La vittoria contro la Juventus nel 2016/17 è stato certamente il migliore: mi ha fatto capire che cosa rappresentasse per Firenze battere i bianconeri. Ma direi anche che quelle sei vittorie di fila dopo la tragica scomparsa di Astori (il momento più brutto) mi hanno fatto vedere la forza che un gruppo può avere nel superare le difficoltà. Anche quello è certamente uno dei ricordi più belli che porterò sempre dentro di me. Sembrava che ci fosse una forza mentale incredibile in quella squadra e questo grazie ad un allenatore eccezionale e di un uomo speciale come Stefano Pioli”.

C’è qualcosa che le è mancato nel corso della sua esperienza a Firenze? Magari poca libertà d’azione…
“Le rispondo subito sul concetto di libertà: quando ho firmato per la Fiorentina, sapevo fin dall’inizio quale sarebbe stato il mio incarico e non ho mai pianto. Mi sembra di aver fatto tre stagioni senza mai creare polemiche: non è nel mio stile, io rispetto le scelte degli altri ma ovviamente a titolo personale faccio anche io poi le mie valutazioni. La parola che mi viene in mente quando penso a Firenze è “gratitudine” e “fierezza” per aver lavorato per un club come la Fiorentina”.

Quindi non le ha pesato spesso di dover apparire come comprimario di Corvino?
“Avevamo due incarichi diversi: io ero il direttore sportivo, lui il direttore generale dell’area tecnica. Mi sembra che l’incarico di ds in Italia abbia un peso importante, fin dagli anni ’60. Quando mi è stato dato questo incarico vuol dire che mi sono stati riconosciuti dei valori. Poi è chiaro che c’era un responsabile dell’intero settore che non ero io”.

Insisto: c’è qualcosa per la quale non le è stato reso il giusto merito ed è rimasto nell’ombra in favore di altri?
“Capisco la domanda e la rispetto però ci sono delle cose che fanno parte della mia storia privata in viola: non mi sembra giusto dopo essere andato via di fare un resoconto a livello mediatico di certe cose. Non è importante dire: “Io ho fatto questo, io ho fatto quello”. Se c’è una cosa che per me è chiara è che quando una persona fa delle scelte professionali certamente può prendere la decisione giusta o anche quella sbagliata. I più bravi sono quelli che azzeccano di più, i più scarsi quelli che ne indovinano meno. Ma io non ho mai visto in vita mia una persona dire pubblicamente: “Io ho sbagliato A, B, C…”. C’è più semmai la tendenza a dire: “Io ho provato a fare A, B, C…”. Ripeto: nel nostro settore, vince chi sbaglia meno”.

Come mai poi la sua strada e quella della Fiorentina si sono interrotte?
“Ogni società ha il diritto di scegliere in base alle sue dinamiche, però anche le persone devono poter essere libere di farlo. Io conserverò sempre molta gratitudine per l’opportunità che mi è stata data di conoscere il calcio italiano, però ho pensato che in questa fase della mia carriera un’altro tipo di esperienza lavorativa era più adatta al mio desiderio e alla mia felicità”. 

C’è un colpo che lei ha messo a segno in quegli anni del quale ancora oggi va fiero?
“Sarebbe facile dire Jordan Veretout: ha ricoperto benissimo per due anni il ruolo che era stato lasciato libero da Vecino e pur comprato per una cifra importante, ovvero 7 milioni, e ne è andato a Roma pagato quasi il triplo. Spendo volentieri anche alcune parole per Biraghi: arrivato a Firenze dopo la retrocessione col Pescara, preso a 2 milioni euro, adesso gioca in Nazionale ed è all’Inter. Questo vuol dire che la qualità c’è. Ma anche altri giocatori stanno facendo bene: bisogna capire che un giocatore riesce ad esprimersi al meglio quando attorno a sé ha le condizioni più favorevoli. E a volte a Firenze non ci sono state. Però se in tre anni abbiamo battuto la Juve, vinto 7-1 con la Roma, tanti ragazzi sono approdati in Nazionale, alcuni giocatori hanno generato plusvalenze o sono stati confermati dalla nuova proprietà vuol dire che di fondo la qualità c’è sempre stata”. 

In tal senso quali sono i giocatori che non sono stati “capiti” ma che invece hanno qualità non espresse?
”Gerson è l’esempio migliore: parliamo di un ragazzo arrivato giovanissimo in Europa con caratteristiche che non gli hanno permesso subito di affermarsi. Da esterno alto, ha dovuto adattarsi a fare l’interno e oggi con J. Jesus gioca addirittura davanti alla difesa. Gerson è un giocatore con enormi qualità tecniche e fisiche ma a Firenze mi è sembrato a lungo incompreso da parte della gente: sono sicuro però che nei prossimi anni arriverà nella Nazionale maggiore brasiliana e tornerà in Europa. Tra i giocatori “non capiti” mi piace citare pure Lafont, che tornato in Francia sta facendo benissimo la sua strada: diventerà uno dei primi tre portieri della suo Paese, non c’è alcun dubbio. Guardate i progressi che ha fatto Dragowski: anche lui ha avuto bisogno di tempo per migliorare visto che sfortunatamente nel suo ruolo può giocare solo uno…”

Le faccio due nomi: Eysseric e Toledo. Li riprenderebbe?
“Cominciamo da Eysseric: certo che lo riprenderei, per me lui resta un ottimo calciatore. Se voi chiedete a uno dei migliori tecnici in Europa, Lucien Favre, cosa pensa di Valentin vi dirà la stessa cosa. Per qualità tecniche è diventato una pedina fondamentale nel miglior Nizza della storia che è arrivato in Champions League ma a Firenze gli è mancata la continuità, specie nella seconda stagione quando aveva iniziato da titolare e poi è arrivato Pjaca: lì ha perso fiducia e continuità. Adesso le sta avendo a Verona con un ottimo tecnico come Juric e mi auguro che lì possa esprimersi al meglio”.

E su Toledo?
“È una storia completamente diversa: come dicevo prima, nel calcio spesso si sbaglia o si azzecca. Per Toledo non era il momento giusto di venire in Europa ancora, è stato un acquisto sbagliato con tutta la onestà”.

Lei che lo ha visto esordire crede che Chiesa sia un giocatore in grado di giocare già oggi nella Juventus?
“Innanzitutto mi auguro che rimanga un giocatore della Fiorentina per tanti anni perché è un esterno di grande qualità che è amato dalla tifoseria ed è un figlio del settore giovanile viola. Giocatori così vanno tenuti ma capisco bene che nel calcio di oggi casi come quelli di Giancarlo Antognoni, che è rimasto per tutta la vita a Firenze, è difficile che si ripetano. Il mondo è cambiato, bisogna farsene una ragione…”

Quanto l’ha stupita il rendimento di Vlahovic in questa stagione?
“Non sono affatto sorpreso. Fin da quando lo abbiamo scelto per la Fiorentina, lui era visto insieme ad Haaland il giocatore più forte a livello europeo per il ruolo di prima punta tra i classe 2000. Sono sicuro per esempio che se Vlahovic avesse giocato, invece che in viola, al Salisburgo nel momento che è andato Haaland oggi sarebbe già un giocatore che varrebbe 60 milioni di euro. In Austria a differenza dell’Italia, c’è molto più spazio per i giovani e in particolar modo i centravanti vengono valorizzati”.

Le è dispiaciuto far coincidere la sua esperienza in Italia con la fase calante della gestione Della Valle a Firenze?
“Io non conosco storie nel calcio in cui c’è solo amore o solo odio. Quando si fa il resoconto della gestione Della Valle, sicuramente si parlerà sempre dell’acquisto di una società che era fallita e che nel giro di pochi anni è tornata a giocare la Champions League. A Firenze sono stati vissuti momenti di grande entusiasmo, dove sono mancati solo i trofei. Forse un po’ più di riconoscenza potrebbe servire. Sono certo che in futuro i Della Valle non saranno ricordati solo per gli ultimi tre anni ma per le notti europee che la città ha vissuto in buona parte delle diciassette stagioni di gestione”.

Che idea si è fatto di Rocco Commisso e dell’entusiasmo che è tornato a Firenze con l’arrivo di Ribery?
“Sicuramente la nuova proprietà ha portato quella positività che stava mancando intorno alla squadra e questo è un fatto molto positivo. Sulla scelta del profilo dei calciatori vorrei fare un esempio…”

Prego.
“Una persona quando va a Roma può arrivarci in vari modi: in treno, con la sua macchina o chiedendo un passaggio a un amico. Oggi la tendenza di tutte le squadre mondiali è quella di fare una differenza tra quello che è il costo e l’investimento, cioè si considera investimento quando si spendono i soldi con giocatori fino a 23 anni che hanno ancora un margine di crescita. Questo lo sta facendo persino il Real Madrid con Vinicius, Rodrigo e altri. Questa strategia non l’ha inventata la Fiorentina con la gestione precedente ma è una tendenza del calcio mondiale”.

Quindi?
“Voglio dire che ognuno può scegliere la sua strada per arrivare alla “sua” Roma: coi giocatori giovani di prospettiva o con campioni già affermati anche se nella parte finale della carriera. Sono scelte legittime ma ognuno si assume la conseguenza delle sue scelte, sia a livello economico che sportivo”.

Si può dire dunque che Carlos Freitas Ribery e Boateng, per fare due nomi a caso, non li avrebbe presi?
“Non ho detto questo: io dico solo che ogni strada è legittimata. Ripeto, a Roma si può arrivare in tanti modi. Poi il come e il se ci arrivo saranno i risultati a dirmelo. Per arrivare ad un certo obiettivo serve una strategia e serve coerenza nelle scelte da fare”.

Nel suo cassetto c’è il sogno di tornare a Firenze, con una proprietà nuova e ambiziosa come quella di Commisso?
“Vedremo, io sono un po’ uno zingaro di questo mestiere: ho già avuto l’opportunità di lavorare in quattro Paesi diversi e questo mi rende fiero del mio percorso. Uno dei punti di riferimento della mia vita professionale rimarrà sempre la mia avventura a Firenze. Quando parlo dell’Italia, parlo della mia seconda patria perché già prima mi piaceva molto. Vivendo nel vostro Paese ho conosciuto persone che mi sono rimaste nel cuore per tutta la vita, che vivono la propria esistenza con passione e “sangue caldo”. A me piace la gente così”.