IL CALCIO PIANGE MOROSINI, MA SONO LACRIME DI COCCODRILLO...

16.04.2012 00:00 di  Mario Tenerani   vedi letture
Mario Tenerani
Mario Tenerani
© foto di Firenze Viola

Siamo tutti sotto choc, provati dalla morte di Piermario. Le immagini del villaggio globale mediatico hanno vivisezionato la tragedia di Pescara. Chiunque viva questo sport, da qualsiasi osservatorio lo guardi, sta male. Se ci troviamo in questo ambiente è perché siamo innamorati del calcio. Abbiamo scelto di esserci e ci pare assurdo che un ragazzo non ancora ventiseienne abbia spento l’interruttore della vita così.

Il pallone è felicità, prima ancora che lavoro, ed è inconcepibile morire per un gioco. Piermario, poi, aveva già pagato un prezzo alto al dolore, con una famiglia decimata dai lutti. Per tutto questo siamo sotto choc, pervasi da quella rabbia sinonimo di impotenza di fronte ad un evento che ci ha travolti. Il calcio ha fatto bene a fermarsi, nonostante che qualcuno la pensi in modo diverso, in nome dello show che deve andare avanti a prescindere.

Bisognava fermarsi: intanto per tutte le altre volte che il calcio ha tirato dritto colpevolmente e poi perché una tragedia di queste dimensioni deve portare tutto il movimento a riflettere, per trarre conclusioni definitive. Disgrazia o no, sarà l’autopsia a darci la verità sulla morte di Morosini, il pallone ha certamente delle colpe. Le lacrime sono di coccodrillo.

Probabilmente hanno ragione quei medici sportivi – pochi purtroppo – quando affermano che dobbiamo smetterla di raccontare che l’Italia è il primo Paese al mondo nel campo della medicina sportiva. Abbiamo eccellenze assolute e siamo stati i primi nell’82 ad introdurre la visita di idoneità, ma ci sono categorie, non sicuramente la serie A, dove i controlli vengono elusi. Per ragioni economiche o di superficialità, ma il risultato è lo stesso. Questo significa essere migliori?

E ancora: la visita annuale non basta più. I calciatori devono essere monitorati sempre, anche in presenze di sintomi irrilevanti. Questi possono essere prodromi di patologie o problemi sorti di recente, quindi nello spazio che intercorre tra un controllo e l’altro. Un esempio banale: ci sono forti virus influenzali che provocano infiammazioni al cuore. Una persona normale può recuperare più lentamente, anche con la convalescenza. Un atleta, invece, appena sfebbrato torna ad allenarsi, se non addirittura a giocare. Per non contare le volte in cui scende in campo influenzato. Forse, dopo attacchi di questo tipo, sarebbe meglio, così consigliano alcuni luminari, sottoporre il cuore ad una diagnosi approfondita. Una banale infiammazione può, in fase agonistica, diventare un killer chirurgico.

In più c’è lo stress. L’aumento degli infortuni muscolari è notevole, si gioca troppo, anche se a livello cardiovascolare per adesso non ci sarebbero alterazioni. Ma è naturale che gli impegni sempre più ravvicinati annientino la cultura del riposo. Solo che le società onnivore non si saziano mai, devono incamerare sempre più denaro. E le tv sono chiare: più soldi, più partite. Vogliamo ricordarci che sull’altare del business si disputano gare in estate a oltre 40 gradi e in inverno a meno 10 sotto zero? Infischiandosene della salute dei calciatori e delle esigenze dei tifosi. 

A questo bisogna aggiungere, e non è il caso di Piermario Morosini, che alcuni calciatori non rispondono ad un corretto stile di vita, abusando talvolta del bicchiere in più o di una dieta sbagliata. Il Barcellona, dopo ogni gara, porta i propri tesserati a cena e impone loro di andare a letto entro le 24, proprio perché il frangente più delicato per il “motore” del calciatore è quello post-partita. L’attimo in cui lo stress raggiunge livelli massimali.

La moda più in voga è sparare alzo zero sui calciatori, bollati come divi viziati e carichi di milioni. Pensiamo sempre ai trenta più famosi, ma dietro loro ce ne sono tanti, come il povero Piermario, che non guadagnano più le cifre di una volta, ma ai quali chiediamo più o meno gli stessi sforzi di un vip del pallone. In realtà, pregi e difetti, i giocatori restano l’anello debole di una catena e serve il rispetto e la tutela per chi scende in campo. Sono spremuti come limoni.

L’uomo viene prima di qualsiasi cosa e nessun ingaggio può giustificare un rischio concreto per la sua integrità fisica. E non dimentichiamoci l’intero movimento dilettantistico: tutti hanno diritto ad essere seguiti.

Non dobbiamo fare allarmismi, ma non possiamo neppure più far finta di niente. Piermario non ce lo restituirà più nessuno ma se il calcio vorrà, in questo dramma potrà trovare la forza di migliorarsi. Per evitare un'altra giornata come quella dello stadio Adriatico.          

Mario Tenerani

giornalista de Il giornale della Toscana