PRANDELLI, Da Toni a Higuain: vi racconto tutto
Cesare Prandelli interviene e parla di Fiorentina tra passato, presente e futuro: "La polemica secondo me è un modo per crescere. Ho cercato di capire come si vive il calcio ed il sociale a Firenze: qui è uno dei posti in cui si guarda più al prossimo. Per quanto riguarda me, quando vivi emotivamente un episodio straordinario come è accaduto a me, io mi sento sempre in obbligo di dare qualcosa a questa città. Sento che devo meritarmi Firenze. Dopo Calciopoli nessuno obbligò nessuno a restare, io mi sentii di dire ai tifosi che restavo. Così tutti i giocatori il giorno dopo in spogliatoio mi dissero: "Noi restiamo". La semifinale di Coppa il suo miracolo? Io non mi precludevo nulla, puntavo alla finale. E anche in campionato facemmo bene. Il mio capolavoro è stato valorizzare tutti i giocatori che avevamo a disposizione".
Poi prosegue: "Io l'Antognoni degli allenatori a Firenze? Potrebbe offendersi Giancarlo (ride, ndr). Alla mia prima stagione trovammo alchimia subito perché centrammo i giocatori nei giusti ruoli. La disponibilità è stata massimale e dopo che arrivò Toni gli dissi: "Tu sei venuto qui per fare gol". Non avevamo bisogno che facesse gioco, ma solo gol. Con Bojinov avevo un grande rapporto ma purtroppo gli pesava parecchio il prezzo che era stato pagato. Cassano? È una risorsa calcistica incredibile, di calcio ci capisce tanto. Pazienza? Era molto aggressivo, andava sopra l'intensità delle squadre. Oggi sarebbe un giocatore normale, a quei tempi spiccava. Donadel aveva più qualità e una grande continuità".
Un giocatore vicino che poi non arrivò? "Higuain. Prima di andare al Real Madrid, Corvino mi disse: "Ho trovato un giocatore fantastico". E dopo averlo visto gli dissi che se l'avesse portato a Firenze non sapevo cosa potesse succedere: era un giocatore incredibile. Corvino era convinto di poterlo prendere. Poi mi ricordo Vidic, altro giocatore veramente importante che non arrivò".
Dainelli? "Un vero capitano, è riuscito a farsi apprezzare anche per la leadership. Seba Frey tra i pali è stato tra i più forti del mondo".
Mutu? "Penso che con la sua intelligenza possa diventare un ottimo allenatore. Secondo me ce la farà. Come giocatore era fortissimo. Appena lo vidi gli dissi che doveva fare gol per le sue qualità".
Liverani? "Stesso problema che ha avuto Brocchi, l'età ha fatto sì che restasse poco. Era un professore, dava i tempi alla squadra. Era interessante quando dovevano dialogare lui e Mutu: non gli dava il pallone sui piedi e io gli dicevo che faceva bene. Mutu si arrabbiava sempre. Il secondo anno cambiai sistema di gioco per far giocare Liverani".
Montolivo? "Lui arrivò molto giovane e nei primi mesi tutti impazzivano per lui. C'erano troppe aspettative, si pensava fosse il nuovo Antognoni e non lo era, era un giocatore diverso. Gli dissi di togliersi dalla testa di essere un 10".
Felipe Melo? "Mi ricordo che un collaboratore me lo segnalò quando giocava contro il Barcellona. Lo guardammo e poi andai da Corvino a dirgli che era un giocatore interessante. Mi aveva colpito la personalità. Il problema è che la Juventus pensava fosse un regista, ma era tutto fuorché un regista. Amrabat un po' lo ricorda fisicamente ma Melo era veramente un leader arrivato da situazioni complicate in Brasile. Quando hai giocatori come lui, quando vai a giocare in stadi importanti, questi giocatori trasmettono grande carica".
Cesare Prandelli ha parlato anche poi di Manuel Vargas: "All'inizio faceva molto fatica. Mi ricordo la partita in casa con l'Udinese, a fine primo tempo stavamo perdendo e lo stadio ci ha fischiato molto. Nello spogliatoio dissi che avrei dovuto cambiare mezza squadra e nel frattempo Vargas si tolse la maglia perché diceva che non voleva giocare. Gli dissi: "Te lo dico io, adesso non vali quattordici milioni, rimettiti la maglia ed andiamo a giocare". Gliela rimettemmo e fece un secondo tempo spettacolare".
E su Christian Vieri: "Quando arrivò fisicamente non era al top ma aveva tantissima motivazione. Ho avuto tanti attaccanti bravi, ma lui aveva una capacità incredibile di intuire le azioni offensive. Venne da noi con l'obiettivo di tornare in nazionale, poi ebbe dei problemi a febbraio e fece fatica.
Jovetic? Venne che era un ragazzino, da subito capimmo che era un diamante, qualcosa di particolare. Purtroppo nella sua carriera ha avuto troppi infortuni, sennò avrebbe potuto fare qualcosa di unico perché lo era come giocatore, poteva giocare seconda punta, esterno o sulla trequarti. Abbinava qualità tecnica a grande eleganza ed anche senso del gol, era molto freddo in area di rigore. Come ragazzo era molto serio, era un campione".