Chef Fabregas 'cucina' Pioli: quando una partita si vince (anche) in panchina

Stadio Artemio Franchi, Firenze, ore 20.10 di domenica 21 settembre. Split-screen: da una parte Stefano Pioli a testa bassa sotto la sua curva, a fare incetta di fischi e insulti (non rivolti direttamente a lui); venti metri più in là, a centrocampo, c'è Cesc Fabregas che arringa ancora i suoi. Tutti attorno a lui, a pendere dalle sue labbra: "Quello che avete fatto oggi è stato difficilissimo, ricordatevelo. Se giochiamo così, credetemi, andremo lontano. Dobbiamo giocare sempre così, credere l'uno nell'altro, continuare, continuare, continuare. Credete in quello che vedo". Non sono tanto le frasi, di certo non originalissime, quanto il modo di pronunciarle (sfidiamo chiunque guardi quel video a non aver voglia di mettersi i pantaloncini e di sfidare qualsiasi avversario del mondo). Non sta tutta qui la differenza in questo momento tra Fiorentina e Como. Ma sta ANCHE qui. Perché i biancoblu danno concretezza a un concetto che spesso non ne ha, ovvero 'Identità'. Cosa che la Fiorentina ha perso, o forse non ha mai avuto.
Perché doveva essere la sfida tra il maestro (oltre 400 panchine in Serie A) e l'allievo, che meno di due anni fa aveva chiamato il primo, allora tecnico del Milan, per una lezione privata mascherata da aperitivo milanese. Chissà se Stefano Pioli ieri sera si sarà pentito di aver detto sì quel giorno. Galeotto fu quello spritz e chi lo offrì. Ieri l'allievo si è fatto trovare coi piedi sulla cattedra, facendo lezione per un'ora abbondante a casa del maestro. E dire che era partita benissimo per la Fiorentina, col mancino telecomandato di Mandragora a stappare la gara dopo soli 6'. E che dall'altra parte il Como sembrava nervoso e sorpreso dall'atteggiamento della Viola (anche se Cesc ha detto di aver saputo già la sera prima delle intenzioni dei rivali, intercettando quindi la notizia della svolta a quattro di Pioli).
Pochi minuti dopo il vantaggio però, tra i 21mila del Franchi è iniziata a serpeggiare una sensazione, quella della casualità del risultato e dell'incertezza, del fatto che bastasse una folata di vento a ribaltare tutto. Il vento è arrivato dalla panchina: fuori Vojvoda, impalpabile, dentro Jesus Rodriguez, uno che, al primo tocco di palla ha riportato sul prato del Franchi i fantasmi di quella notte del maggio scorso, in quel Fiorentina-Betis che ancora non è andato giù a tanti. E poi dentro Douvikas al posto di un Morata da encefalogramma piatto: e poi, soprattutto, Jayden Addai, 2005, dall'Az Alkmaar (una sorta di bollino di garanzia), un diavolo della Tazmania che ha rotto la partita al minuto 93 col 2-1 finale - secondo assist di giornata, dopo quello su punizione per Kempf, per Nico Paz, uno che, inutile sottolinearlo, la Fiorentina non ha in rosa -. Non c'è solo questo, il cambio di un giocatore con l'altro, dietro al ribaltone del secondo tempo. C'è qualcosa di più inquietante per i tifosi viola, una sorta di squilibrio di potere: perché una volta che si è accorto delle difficoltà fisiche e tecniche della Fiorentina, il Como si è preso la partita d'inerzia, tanto che il 2-1 in pieno recupero è stato salutato dai presenti non come un classico gol beffa, o meglio come una beffa quasi inevitabile.
Pioli dall'altra parte ci ha capito poco, ha sbattuto di nuovo contro la convinzione di poter far coesistere Kean con Piccoli. Il tentativo di svuotare il centrocampo gli si è ritorto contro visto che è bastato un Sergi Roberto in versione autunnale a dominare tempi e spazi; a fine partita ha sottolineato più volte quello che a suo modo di vedere è stato l'aspetto decisivo: "Se non gestiamo bene la palla sono guai. Quando scavalchi sempre il centrocampo e non riesci a gestire il pallone contro questo avversario vai in difficoltà. Non c'era tutta quella pressione degli avversari per calciare così tante volte in profondità saltando la parte centrale del campo". Un problema di gestione della palla e di mancanza di coraggio, quello mostrato invece dagli avversari.
Sempre dallo stesso microfono della sala stampa, una manciata di minuti prima, Cesc aveva dato un'altra lezione da 9 crediti Cfu in comunicazione e management: "La gioventù oggi è il nostro punto di forza, non la debolezza. Addai dopo aver segnato voleva fare il terzo gol, è partito di nuovo in contropiede, l'abbiamo persa e la Fiorentina poteva pareggiare. Dzeko nella stessa situazione avrebbe preso un fallo o un corner. Ma cosa gli dico, di non farlo? No, non posso e non devo". Poi un messaggio a tutti. Parlando di cosa è e di cosa è stato il Como fino a poco fa, il mago catalano sparge un ulteriore velo di inquietudine per quello che è stato il passato recente anche della Fiorentina: "Noi siamo all'inizio di un processo di crescita, abbiamo cambiato tutto in un anno e mezzo, fino a due stagioni fa eravamo in Serie B e giocavamo con un blocco basso e lancio per Cutrone e Cerri, oggi ci confrontiamo con club che hanno 100 anni". Ecco, adesso, sostituite Cutrone e Cerri con Piccoli e Kean.
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