PIETRO MENNEA E SARA SIMEONI SON RIVALI ALLE ELEZIONI
“Scusate il disturbo...” verrebbe da dire. Cosa ci fa un articolo commemorativo (perdòn, celebrativo) di un mito dell'atletica leggera in un sito che parla di calcio, nello specifico di Fiorentina? Apparentemente niente, e tra l'altro arriva a due giorni dalla scomparsa del mito in questione. Però ci è piaciuto farlo lontano dal flusso mediatico, inevitabile appresa la notizia, in una domenica senza calcio. Proprio quando i falsi miti si riposano e lasciano spazio ai figli di un Dio minore. Chi vi scrive ha visto e vissuto tutta l'epopea di Pietro Mennea, pur non conoscendolo di persona, pur non scrivendone mai una riga. Merito dell'età non più verde, merito di una passione diffusa per lo sport in generale, che lo hanno messo in contatto con i veri miti dello sport. Bartali, Coppi, Pantani, Tomba, Mennea e la Simeoni... sono solo alcuni. Gente per la quale l'italiano medio si è potuto vantare, che hanno costituito il tramite col senso d'appartenenza. E a proposito, abbiamo scelto un verso di “Che vita!” di Samuele Bersani per introdurre queste poche righe. "Pietro Mennea e Sara Simeoni, son rivali alle elezioni..." è forse una speranza, una auspicio espresso dal cantautore bolognese. E con i tempi che corrono, visto lo spessore dei due personaggi, ci sta proprio bene. Se poi il cantautore si chiama Bersani...ci sta ancora meglio.
QUESTIONE DI... CENTESIMI – Abbiamo promesso poche righe, e poche righe saranno. Innanzitutto due flash di Pietro Mennea: ogni volta che finiva una gara era solito ricordare le sue origini, umili, modeste, e le condizioni precarie nelle quali era costretto ad allenarsi. Lamentava la mancanza di strutture, di spazi dedicati agli atleti di buona volontà. Una critica velata (ma neanche tanto) al Coni che privilegiava gli sport cosiddetti maggiori, relegando l'atletica a disciplina...olimpica, ovvero degna di visibilità una volta ogni quattro anni. Il secondo flash è l'uscita da quella curva, il 28 luglio 1980, la sera dell'oro olimpico a Mosca. Mennea non aveva la partenza, correva in corsia esterna senza riferimenti, Mennea era all'inizio del crepuscolo dopo anni di vittorie: 3 medaglie d'oro agli Europei (l'apice a Praga '78, nei 100 e nei 200), il record del mondo nel '79 alle Universiadi di Città del Messico... 19,72 sui 200, primato che resisterà per 17 anni. Che resiste ancora a livello Europeo. Però l'Olimpiade è un'altra cosa, l'Olimpiade è la sublimazione dell'anima, l'Olimpiade è il massimo per un uomo, per un'atleta. Per chi vuol diventare un mito. E allora in quegli ultimi 100 metri Pietro tirò fuori tutto il Sud che era in lui, si lanciò all'inseguimento dell'inglese Wells, e piano piano mangiava centimetri, metri. Fino a vincere, per soli due centesimi di secondo.
PIETRO, PIU' NERO CHE BIANCO - Qualcuno disse: “Mennea corre torto, ma nella vita andava dritto” ed aveva ragione. Pietro (forse per non annoiarsi) prese quattro lauree: giurisprudenza, scienze politiche, scienze motorie, lettere. Eppure nel “palazzo dell'atletica” non ebbe mai nessun incarico... chissà, forse per colpa di quelle frasi pronunciate sul filo di lana. Quando Cassius Clay lo conobbe, lo guardò dall'alto in basso poi disse: “Ma è bianco”. E Pietro per tutta risposta... “Si, ma dentro sono più nero di te”. Lui, che rappresentava la risposta bianca al potere nero, la rivincita dei normo-dotati contro i superman d'ebano, perfetti, statuari, ma (ahiloro) senza la fame necessaria per aggredire la vita. E poi che gusto c'è a nascere belli, alti, muscolosi come Carl Lewis, Michael Johnson (quello che nel 1996 gli ha tolto il record), Usain Bolt? Uno che nasce bianco, piccolo (e anche un po' bruttarello) parte sempre 10 metri dietro. Quando arriva però vince due volte, proprio come usava fare Pietro Mennea.
GUARDA i 200 metri dell'Oro olimpico a Mosca nel 1980