Numeri e calendario da paura, silenzio del club: chi gestisce la crisi? Chiarimento interno, poi parli uno dei leader. Pioli ottimista ma le facce dei giocatori dicono altro. E poi c’è il solito copione delle accuse mirate

Sempre disponibili nelle interviste pre partita, pare che i dirigenti adorino il silenzio nei momenti complicati. Sempre leader sui social aziendali, i giocatori in campo lo sono stati molto meno.
I numeri e il calendario fanno paura e qualcuno dovrà pur gestire la crisi, aggiungendo anche la sensazione di saperlo fare. Quindi molto è nelle mani del direttore generale e del direttore sportivo, sicuramente più reattivi rispetto al cortocircuito della conferenza stampa di fine stagione per impostare il futuro con Palladino (27 maggio) a cui sono seguite le clamorose dimissioni dell’allenatore (28 maggio).
Pioli non sembra avere la risposta per risolvere tutti i problemi, ma secondo noi merita ogni tipo di sostegno, non solo perché un nuovo cambio in panchina stabilirebbe un primato di instabilità per il club. Immaginiamo inoltre che l’ottimismo dell’allenatore abbia radici solide all'interno di un gruppo che, però, ha troppi giocatori irriconoscibili e altri sotto tono.
A occhio servono alcune cose. La prima è un grande chiarimento nello spogliatoio, a proposito del quale un leader scelto dai giocatori poi dovrebbe riferire all’esterno, ma non con le solite frasi fatte, proprio facendoci capire che il gruppo è consapevole di essere nei guai e sta cercando la strada per uscirne. E poi prevediamo un parziale ritorno alla praticità di Palladino: più bassi, attenti in marcatura e palla a chi in teoria la butta dentro, cioè Kean, roba semplice insomma perché quella complicata non riesce. Non esattamente questo abbiamo visto a Pisa, ma il recupero di Pablo Mari nella difesa a tre e Kean unico centravanti (lanciato lungo) ci sono sembrate mosse chiare e incursioni nel passato in un momento di grande confusione e incapacità di aumentare la qualità del gioco.
In giro c’è una brutta aria e sembra il minimo, mai la Fiorentina era partita così male da quando ci sono i 3 punti e qui facciamo la lista dei giocatori più deludenti non solo per sgranare il rosario della crisi diffusa o creare liste di proscrizione, ma per mettere il gruppo squadra di fronte alle proprie responsabilità, che sono tante. Troppi allora i segnali negativi da Gudmundsson, Dodo e Pongracic, poi a seguire Ranieri e Comuzzo, seguiti da Nicolussi Caviglia, Kean, Piccoli e Gosens, mentre Fagioli è addirittura uscito dai radar; hanno deluso anche Sohm, Fazzini e Dzeko (poco utilizzato), perfino il rendimento del monumentale De Gea è meno impeccabile rispetto alla scorsa stagione. Non parliamo poi di elementi davvero poco giudicabili per i minuti giocati e prestazioni trascurabili, tipo Ndour, Richardson, Parisi e Viti, lasciamo fuori dal conto Sabiri e concediamo una terra di mezzo a Pablo Mari e Mandragora. E’ una situazione obiettivamente desolante _ in pochi meritano la sospensione del giudizio, per gli altri è buio o quasi _ e in campionato la Fiorentina si prepara a incrociare Roma, Milan, Bologna e Inter.
Come se ne esce? Clima sconsolato e a Firenze negli ultimi anni il copione è sempre stato lo stesso, con gli allenatori sotto accusa e i dirigenti (che pure li hanno scelti e avrebbero la responsabilità di gestire a fondo ogni situazione calcistica) in una zona di parziale comfort rispetto alle critiche sul bersaglio più facile.
La terza parte in causa _ cioè i giocatori _ ha sempre potuto contare sul grandissimo sostegno dei tifosi dentro lo stadio, una magia che si è rotta solo alla fine delle due ultime partite con i fischi della curva. Quanti privilegi, eppure sono loro i veri protagonisti sul campo.
In un calcio che è profondamente cambiato, gli attori principali vivono al riparo dagli impicci, si adeguano pigramente alla clausura imposta dai club e in apparenza niente li scuote: vita comoda e zero contatti con i tifosi, blindatura nei centri sportivi, uscite veloci dai cancelli a bordo delle proprie auto, al massimo qualche sessione autografi perché così nelle foto si vedono i cartelli degli sponsor, insomma una distanza galattica che li colloca al centro della propria azienda personale, piuttosto che dentro l’anima di un gruppo. In questo calcio spersonalizzato sono dunque decisive le figure di riferimento, quello che fanno girare il gruppo: in ordine la proprietà, i dirigenti che si è scelta, l’allenatore.
La condivisione si crea attraverso l’attenzione ai dettagli e l’unità, il lavoro oscuro è tanto e gli equilibri si rompono facilmente quando i risultati non arrivano. Soprattutto se c’è una rosa troppo ampia, esattamente quella che Pioli si era augurato di non dover gestire.
E i leader? La fortuna di un allenatore è quella di averne almeno uno in campo. Un giocatore che capisce quando la squadra è in crisi, la scuote, usa le parole giuste con i compagni, offre e pretende rispetto. E se nella Fiorentina ci sono leader, in questo momento non si vedono: un motivo in più per chiarirsi, una volta per tutte, nel chiuso dello spogliatoio.
E mercoledì, alla vigilia della partita di Conference contro il Sigma, ci aspettiamo che un giocatore si assuma pubblicamente le responsabilità del gruppo.
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 2/07 del 30/01/2007
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