CALCIO E EMERGENZA, MANCA UNA LINEA COMUNE
"Fermare il calcio" è l'appello che con responsabilità viene lanciato in questo momento di emergenza per il diffondersi del COVID-19. Anche perché, è inutile nascondersi, il calcio a porte chiuse non è calcio senza pubblico e comunque non permette di rispettare le disposizioni che Governo e di conseguenza Regioni e Comuni stanno emanando. Inoltre per tante società che hanno avuto la possibilità di controllare anche con tamponi ("due al giorno" ha detto il ds viola Pradè riguardo ai controlli della Fiorentina, ieri da Udine) altri denunciano di aver dovuto giocare senza controlli nonostante avessero avuto la febbre (Legrottaglie ha denunciato - come riportato da Mediaset - che i suoi giocatori del Pescara sono scesi in campo nel pre partita con le mascherine per sensibilizzare che in 13 hanno avuto la febbre e nessuno gli ha fatto il tampone). Giocare a porte chiuse è davvero sufficiente, controllando semplicemente la temperatura con lo scanner all'ingresso, alle poche persone che entrano? Eppure ci sono viaggi interni in treno, aereo o autobus, pernottamenti in albergo di tutti i gruppi (minimo una cinquantina di persone a squadra) e soprattutto poi, nonostante i cerimoniali modificati ad hoc per non scambiarsi la stretta di mano, abbiamo assistito a scene di baci e abbracci in occasione dei gol.
Insomma in ballo c'è la salute dei calciatori (e di chi gravita intorno alle squadre), sulla quale però non tutti la vedono allo stesso modo: il presidente Aic Tommasi chiede di fermare i campionati, Balotelli - per citarne uno - lo stesso facendo leva sui tanti rapporti interpersonali che il calcio comporta, così come Pippo Inzaghi, mentre i tesserati del Cagliari scelgono di allenarsi per solidarietà con chi al lavoro deve andare per forza. Per non parlare dello spettacolo che a porte chiuse cambia completamente il senso. Ma i club saranno davvero tutti d'accordo domani? In B ad esempio il Frosinone e la Pro Vercelli hanno preso una posizione ben precisa: il primo ha scritto a Balata, la seconda ha deciso di smettere gli allenamenti collettivi ed eventualmente di non presentarsi alle partite. E in A? Per ora tutto tace (a parte dichiarazioni di rito post partita affidate spesso ai semplici tesserati), con la Lega che battibecca con il ministro Spadafora su chi deve prendersi la responsabilità di fermare anche lo sport (tuttora permesso a porte chiuse), più per un fattore economico che morale in realtà.
L'unica voce è quella della Lazio, almeno tramite il portavoce Diaconale, che ha affermato nella sua rubrica - personale certo - "Non sarà facile imbrogliare il presidente Claudio Lotito da parte di ministri demagoghi e dirigenti irresponsabili che non capiscono "che l'eventuale decisione di fermare il campionato" significherebbe far saltare tutti i diritti televisivi e condannare al fallimento la gran parte delle società calcistiche italiane". Un grido di allarme che in B tramite il sito di Gianluca Di Marzio lancia anche il presidente del Perugia Santopadre: "La decisione di fermare i campionati deve prenderla il Governo. La cosa fondamentale è fare in modo che le società non saltino in aria. Senza entrate è impossibile garantire uscite. Le spese di gestione sono altissime, tra stipendi e contributi. In questo momento abbiamo bisogno che le istituzioni ci diano una mano. Altrimenti salta tutto per aria". Vedremo come finirà, certo è che un campionato "normale" è già finito nonostante si giochi anche stasera in campionato e - da domani - le Coppe.