Pioli piace perché è finalmente una scelta logica e aiuterà tutti a crescere. Il club costretto a mettersi alla prova dopo gli errori: ora serve una comunicazione efficace che spieghi il salto di qualità

Ci si fida molto di Pioli, che è una persona perbene ed è stato il babbo di tutti dopo il dramma di Astori. Ci si fida anche di chi tre anni fa ha vinto uno scudetto, è arrivato in semifinale Champions e porta con sé il vento di una scelta sensata fatta dai dirigenti viola e allora _ stai a vedere _ anche loro stanno migliorando.
Siamo all’inizio e i sorrisi abbondano, Pioli ha abbracciato con apparente affetto perfino chi ebbe un ruolo formale nel famoso comunicato del 2019, quello che provocò le dimissioni sdegnate dopo le accuse fatte dalla precedente proprietà con un richiamo alla serietà e alla competenza. Quindi si ricomincia senza ombre, il calcio quando vuole sa essere un mondo privo di memoria e lo stesso Pioli - felicissimo di aver ritrovato Firenze, che è un po’ meglio di Riad - ha dichiarato di aver rivisto con gioia tante persone conosciute.
Per mantenere il sorriso nel tempo ci vorranno anche giocatori forti, alcuni già ce ne sono e altri arriveranno magari proprio perché c’è un allenatore che porta con sé la garanzia dell’esperienza vincente. Pioli ha gestito bene gente come Ibra, Leao, Giroud, Theo Hernandez, perfino CR7 e con tutto il rispetto ci si immagina che Gudmundsson non possa essere un problema. Tutto sembra avviato verso una partenza virtuosa dopo lo sconquasso apparente in Curva, il record degli abbonamenti conferma che la passione viola prescinde da chi rappresenta temporaneamente il club e dalle imprese alla rovescia di qualcuno in termini di rapporti interni e feeling con l'esterno, certo che il comunicato della Fiesole resta un memo vigile che sventola da lontano: ‘Incompetenti e arroganti’, fra l’altro. Concetti duri e dimenticabili solo di fronte a risultati che dovranno avere il pregio di arrivare da subito. Pioli - che ora abbraccia tutti - sa bene di avere un bonus temporaneo che gli deriva dal rispetto e dalla speranza di aver trovato un gestore che elimini i cortocircuiti visti troppe volte all’interno del club.
Pioli dovrà avere un potere che a nessun allenatore, prima di lui, è stato concesso durante l’era Commisso. Né a Montella, confermato all’inizio dopo un rapido incontro con Commisso a New York, né a Iachini, neppure a Prandelli subentrato in corsa con un carico sentimentale che alla distanza diventò per lui una gabbia, figuriamoci a Gattuso che divorziò in un lampo, tantomeno poi a Italiano scelto in corsa e Palladino apprezzato mai fino in fondo. In ognuno di questi casi, le dinamiche del club hanno preso un sopravvento che ha determinato situazioni amare. Montella partito con il bollino di sorvegliato speciale, Iachini confermato non si è capito con quanta volontà comune, Prandelli chiamato come un salvagente per i suoi trascorsi, Italiano con un’operazione di emergenza dopo il clamoroso divorzio con Gattuso, Palladino incognita dopo un anno e mezzo in A con il Monza.
Con Pioli è diverso: spessore del tecnico e contingenze consigliano al club di rinunciare a una parte di se stesso, in modo da lasciare più campo libero a chi ha il rispetto totale di Firenze e ha ottenuto risultati che lo legittimano. A livello di comunicazione, l’obiettivo ora dovrebbe essere quello di far emergere con forza una nuova virtù, far capire che si lavora davvero tutti insieme, non ci sono distanze, né eventuali gelosie, a costo di trasferire in pubblico maggiori poteri ad un allenatore che ha finalmente i titoli per gestirli.
Anche perché deve essere chiara una cosa: se per ipotesi Pioli ascoltasse la metà delle parole che sono state dette sul conto di Palladino, sarebbe pronto a replicare il bis del 2019. Conclusioni: logica e ‘furba’ la scelta di scegliere Pioli per affrontare la stagione più complessa da quando c’è Commisso. Il Centenario della Fiorentina fa parte della leggenda, non c’è posto per le cose fatte a metà.
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