Storie di vita, storie di tifo, storie che nascevano nella curva Fiesole degli anni 70' e 80'. Ce le racconta un protagonista dell'epoca, Simone, quando andare in curva significava orgoglio, passione e senso di appartenenza.
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Gli Sconvolts del Cagliari è uno dei gruppi che da una decina di anni vanno per la maggiore. Non passa momento che questi ragazzi, peraltro scaltri e coesi, non ricevano lodi a destra e a manca per le loro azioni coraggiose su e giù per la penisola. Anche se obiettivamente in questi momenti è davvero difficile poter fare di meglio, c'è qualcosa che non mi convince nell'odierno modo di essere oltranzisti: troppo costruiti ed enfatici, i personaggi delle curve più alla moda si circondano spesso di un alone misterioso dimenticando ciò che in realtà dovrebbe nutrirli come linfa vitale, vale a dire la passione spontanea per la squadra intesa come fedeltà alla propria storia. Così, dietro parole d'ordine svuotate di contenuto, la cieca militanza nasconde la loro poca umanità, la scarsa fantasia di avere sulla vita una presa più immediata. Fiorentina-Roma dei primi anni 80. Loro arrivano al solito con al seguito sbandati di ogni genere, da tossici a borseggiatori. Nel dopo-partita c'è una discreta caccia all'uomo. In via Campo D'Arrigo macchine romane di gente comune vengono vigliaccamente attaccate e ribaltate. Il grosso del gruppo è però in treno ed il ritorno è da Santa Maria Novella. Noi pischelli seguiamo gli altri in motorino. Arrivati alla stazione centrale mi ricordo che un grandissimo ultras delle Cure (morto poi giovanissimo in carcere) si prende con un biondo della Roma dai capelli molto lunghi e con un giubbottaccio di jeans con il pelo come andava allora. Tutti e due hanno un coltellino in mano, e tutti e due sembrano fare le stesse mosse. Arriva la polizia e ci sparpagliamo. Un agente in borghese sta per afferrare il biondo quando arriva il nostro eroe ed al volo, incurante di ogni rischio, lo carica sulla sua vespa smarmittata zigzagando in controsenso per via Nazionale in modo da far perdere ogni traccia. Che colpo di genio, che prontezza e che animo grande. Per un paio di settimane li ho rivisti insieme a giro per Firenze accomunati da improvvisa affinità. Fu, quello, un gesto molto bello che mi riempì di orgoglio anche perché i romanisti di allora erano effettivamente di un altro pianeta ed assistere alle loro scorribande, ascoltare i loro cori, vedere gli striscioni dei loro quartieri era un brivido ed un esempio per la nostra generazione alle prime armi. Un paio di anni dopo toccò al "Coca-Cola", un loro negretto effervescente, difendersi con un coltello dal nostro incalzare sotto la passerella di Viale Fanti. Anche in quel caso all'arrivo della celere noi, che pure eravamo in netta maggioranza, lo lasciammo andare perché non rischiasse inutilmente. Forse meno crudeli ed ottusi dei ragazzi di ora, meno individualisti ed esibizionisti, un filo sottile legava tutti noi che simulavamo quelle epiche battaglie.
Quella stessa traccia di umanità che ha consentito verso metà anni 90 allo stesso "Gigi il rosso" dei Kaos dell'Atalanta di poter far ritorno a Bergamo con le proprie gambe. Riconosciuto dopo un anonimo Fiorentina-Atalanta e rifugiatosi dentro un portone fu tirato fuori a forza e sbeffeggiato sulla pubblica piazza, ma nulla più. In fondo anche lui era un nostro fratello.
Per un diverso modo di essere e sentire