Da "odio sacro" a memoria storica: che fine ha fatto il mito di Fiorentina-Juventus?
Per decenni Fiorentina-Juventus non è stata una semplice partita di calcio. È stato un derby dell’anima, un confronto che superava la classifica, che accendeva tensioni e che muoveva passioni collettive. Oggi, però, a pochi giorni dalla sfida tra la squadra di Vanoli e quella di Spalletti, la sensazione diffusa - sotto traccia ma percepibile - è che quell’aura si stia affievolendo. Non per mancanza di memoria o per una rivalità improvvisamente evaporata, ma perché il contesto è cambiato. Profondamente.
Classifiche lontane anni luce
Un tempo i viola guardavano alla Juventus con la consapevolezza di affrontare un avversario sì più strutturato, ma spesso vicino negli obiettivi stagionali. Non si trattava di una lotta alla pari, certo, ma di un inseguimento credibile, di stagioni in cui la Fiorentina si giocava comunque un piazzamento europeo o addirittura il quarto posto. Oggi il confronto prende una piega diversa: Ranieri e compagni arrivano allo scontro diretto dal fondo della classifica, ultimi, con una montagna da scalare. Solo otto mesi fa strapazzavano i bianconeri con un clamoroso 3-0 al Franchi, ora ripartono dal 20° posto, con un divario di 14 punti dalla Juventus. Non proprio il terreno ideale per alimentare sentimenti di pari rivalità.
Ricordi che bruciano ancora ma più lontani
C’è poi la memoria storica, quella che per anni ha alimentato la fiamma. Lo scudetto “scippato” del 1982, la doppia finale di Coppa Uefa del 1990, la ferita mai rimarginata della cessione di Roberto Baggio: episodi scolpiti nella storia viola ma anche (e soprattutto) nella costruzione identitaria del tifo e delle nuove generazioni. Ma per i tifosi più giovani queste ferite non sono più cicatrici, ma solo racconti tramandati e non vissuti. E quando una rivalità non viene vissuta direttamente, tende fisiologicamente a perdere volume.
Nuovi nemici, nuove battaglie
Negli anni Duemila e oltre, la Fiorentina ha incrociato più spesso Roma e Napoli sui medesimi obiettivi: scontri diretti incandescenti, anni di duelli per il quarto posto, rivalità di campo alimentate da un confronto più alla pari. In tempi più recenti, poi, sono esplose Atalanta e Bologna, con percorsi sportivi sorprendenti e un livello competitivo che ha portato nuove ostilità. In altre parole, nuove “partite dell’anno”. La Juventus, nel frattempo, è rimasta sì la grande da battere - per definizione e per storia - ma la distanza sportiva e il diverso respiro delle ambizioni hanno ridotto la frequenza del contatto e, con essa, l’intensità dello scontro.
Una rivalità trasformata
La domanda più corretta, allora, non è se Fiorentina-Juventus sia ancora un grande classico (lo è e lo resterà per sempre, sia chiaro) ma semmai se sia ancora la partita dell’anno, come lo era fino a venti anni fa. Sicuramente sì, per chi ha memoria lunga o ha studiato la storia quasi centenaria del club (la Curva Fiesole, ad esempio, che lo scorso marzo ha dedicato a quella partita una delle coreografie più iconiche e dirette di sempre). Forse no, per chi è cresciuto in altri tempi e con altri avversari. La verità, come spesso accade nel calcio, sta nel mezzo: la rivalità non è morta, ma sta solo cambiando volto.
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