È IL MOMENTO PIÙ DURO. VIOLA A BOLOGNA CON SOUSA RASSEGNATO ALLA REALTÀ… DALLA SQUADRA OGGI CAPIREMO TUTTO, POI TOCCHERÀ ALLA SOCIETÀ DECIDERE
Il calcio è veramente volatile. L’imprevisto è eletto a normalita’. Questa settimana era cominciata benissimo per chi ama la Fiorentina: straripante vittoria a Cagliari, farcita di buone notizie, utile a rimettere in carreggiata la stagione viola. Dopo tre giorni appena la mazzata del Crotone, un pari dal retrogusto di sconfitta. Due passi indietro e nuove polemiche. Per arrivare al venerdì di passione di Sousa che in sintesi ha spiegato di aver perso un sogno ed essere ormai attaccato a quella realtà a cui è stato consegnato. Parole come macigni che inevitabilmente, alla vigilia di una sfida delicata come quella di oggi a Bologna, hanno scatenato il dibattito tra tifosi e media. La società ha scelto il silenzio, come tappa obbligata, perché qualsiasi frase o gesto a poche ore dalla gara sarebbe stato deleterio.
Ora, però, il problema non riguarda più la valenza o meno del pensiero espresso da Sousa: si può essere d’accordo o meno, da gennaio ad oggi sono stati versati fiumi di parole. No, il problema è andare oltre il sì o il no per il portoghese. La vera domanda è: la società come intende muoversi di fronte ad un tecnico che ha mostrato con chiarezza la sua mancanza di entusiasmo? L’allenatore non deve essere solo un bravo tattico, e Sousa lo è, stante almeno la Fiorentina vista all’opera nella scorsa stagione. Un allenatore non deve solo migliorare il parco giocatori che gli viene messo a disposizione. No, un tecnico oggi deve essere anche molto altro: un potente motivatore. Sousa, un anno fa, riuscì in questa impresa, prendendo una squadra costruita per l’ultimo posto di Europa League e portandola addirittura, seppur per un breve periodo, in testa alla classifica. E allora, se lui per primo dichiara di “non spingere più per un sogno” e di essere stato costretto a questa realtà, come può motivare un gruppo?
Delle due l’una: o Sousa, conoscitore di dinamiche da spogliatoio, ha fatto tutto questo per accendere una squadra spenta oppure il tecnico lusitano ha voluto mandare l’ennesimo messaggio alla società in attesa che qualcuno scelga per lui. Francamente, si fa fatica ad individuare altri scenari. Il quadro è molto delicato: perché l’insoddisfazione di Sousa - nata dal disastroso mercato del gennaio scorso, anemico dal punto di vista economico ed errato sul piano tecnico - è cosa nota in riva all’Arno. Fu lampante dal primo giorno del ritiro di Moena. La società decise di andare avanti con lui, nonostante che le frizioni ci fossero state. Questo potrebbe essere il primo errore da imputare alla dirigenza.
Ma non è - per fortuna - ancora il tempo dei processi, bensì quello delle scelte. Nella storia di Sousa ci sono anche un paio di dimissioni: giusto per spiegare che non ci dovremmo meravigliare di un atto simile. A prescindere da tutto, però, toccherà alla società scegliere assumersi una responsabilità. La cosa migliore e più semplice, sarebbe convocare Sousa e capire una volta per tutte se vi siano le condizioni per proseguire un rapporto e in tal caso uscire più forti da un summit così. Ma se questo non si verificasse, il club dovrebbe interrompere un rapporto. Perché qualsiasi altro passo falso finirebbe col riaprire un ferita mai suturata.
Bologna diventa il crocevia più delicato della stagione: vedremo come la squadra risponderà a Sousa. Capiremo se anche i viola hanno smarrito il sogno oppure no. Comprenderemo se questo gruppo riconosce ancora il suo leader oppure no. Sì, è il momento più duro anche per la proprietà. Non a caso in tribuna a Bologna ci sarà, con tutta probabilità, anche Andrea Della Valle. Non cambiamo idea: vince e perde il presidente. La società deve avere una propria centralità: colpe e meriti sono riconducibili alla strategia del club. Firenze chiede solo che il calcio venga fatto con certe regole. Le stesse di sempre.