DIFETTI E PREGI DI VINCENZO E CESARE, COME FOSSIMO IN UN ARTICOLO DI CAMILLO, ENZO O GAUDIANO...
Si tratta di due eccellenze, in tempi d'abboracciato, nell'era dei cialtroni, dei ladri, della politica marcia e della stampa servile, nei tempi del pallone mediocre, svenduto, scommesso e battuto al tavolo d'asta del padrone più arrogante. Negli anni di Fiorito in politica, di Antonio Conte nel pallone e Fabrizio Corona giocoliere del nostro tempo libero. In tempi che i latini avrebbero chiamati mala tempora, a Firenze, con l'interludio di due anni folli per lo mezzo, son arrivate due eccellenze, due uomini di calcio fior di conio. Due grandi allenatori che, non accidentalmente perché la natura umana non è accidente per la qualità professionale, sono anche due persone di gran calibro.
Qui mica siamo in un articolo di un sor Guido, di un sor Giacomo, di un sor Enzo qualsiasi. Qui, con stile audace che ci scuserete, con ruspanti sragionamenti da popolino poco attrezzato,ma schietto, ci poniamo domande sulla tempra degli uomini. Non solo professionisti, ricchi commercianti della propria arte, ma persone, esseri senzienti. E quindi sofferenti e gaudenti. Ci poniamo domande sul valore umano (ergo professionale, ma non lo ripeteremo) di Cesare, che conosciamo bene, e di Vincenzo, anelanti di apprezzarlo nei prossimi anni.
Non scomoderemo la fisiognomica, con gli zigomi attorialmente defilippiani di Vincenzo o la pettinata vezzo d'altri tempo di Cesare.
Nè la psicologia spicciola, citando il political correct prandelliamo o l'aura da diplomatico navigato che consente a Montella di rispondere alcunché alle domande. Osserveremo solo la passione con cui questi due allenatori - vincenti e propositivi - praticano e parlano della loro professione. Del pallone che è endemica divertentissima peste per tutti noi tifosi: dimmi come parli di calcio e ti dirò chi sei. E Vincenzo ne parla come Cesare, con gentilezza, disponibilità, capacità divulgativa mai banale. Vincenzo come Cesare vive non "di", ma "con" il pallone, accompagnandosi a questo, come al bastone da passeggio per l'anziano. Calzandolo come il vestito per una sposa sull'altare. La tuba per Zio Paperone. Cesare come Vincenzo non vive "di", ma vive "con" il calcio e lo narra, insegnandolo, alla naturale maniera. Divulgatori viventi. Sacerdoti della palla che ruzzola.
In un articolo di un sor Enzo, Camillo o Gaudiano qualsiasi, adesso si direbbe che quindi va tutto bene. Che quindi ha ragione colui che puote, almeno per questo turno. Del resto lo scritto sarebbe destinato al subitaneo oblìo, all'inutilità immediata dopo un click. E invece non tutto va bene di Vincenzo come non tutto andava bene di Cesare. Lo ricordate? Cesare fallava. Poco, ma fallava. Una scelta, un cambio, una dichiarazione. Di Cesare la mamma, colei alla quale non era toccato uno scarrafone, ma un fior fior di figliolo, diceva pure avesse un difetto:" è permaloso", disse a Stefano e Marco, due cronisti saliti ai confini della Padania per scrivere la storia di quel bravo e fortunato figliolo dell'Aldina.
E il difetto di Vincenzo? Difficile dirlo, siamo fidanzati, vediamo solo il bello, annusiamo il profumato, il sangue ci scorre nei corpi cavernosi con appena un cenno di giuoco, di fantasia, al solo pensiero della prossima gara. Erezioni da bel gioco. Il difetto di Vincenzo, che forse sarà una punta di freddezza, un'oncia d'albagia, una frigidità che confessiamo essere solo supposta poiché è ancora troppo poco il tempo del ragazzo campano in terra d'Arno, verrà pur fuori un giorno. E lo perdoneremo. Lo ameremo. Poiché dell'amato, dell'amico, del compagno, s'amano anche i difetti. E si ricordano solo i pregi. Ricordiamo i pregi di Cesare, ci godiamo quelli di Vincenzo. E alla fine va tutto bene, quasi come fosse un articolo del sor Enzo, Camillo o Gaudiano.
Stefano Prizio
giornalista di Radio Toscana e Squer.it