Dalla depressione all'addio al calcio, Piccini si racconta: "Scrivere un diario la mia terapia"
Cristiano Piccini si racconta a La Gazzetta dello Sport. L'ex esterno della Fiorentina, prodotto del vivaio viola, ha deciso di dire addio al calcio giocato a inizio settembre, dopo una carriera piena di insidie e problematiche che ha deciso di raccontare scrivendo un proprio diario. "Mi è sempre piaciuto. Mi dicevano che scrivevo belle cose, in privato, e ho deciso di guardarmi dentro. È stata la mia terapia, mi sono liberato completamente - racconta nell'intervista -. E sono giunto a una conclusione: devo essere felice per tutto ciò che ho avuto. Sei mesi fa mi sarei lamentato delle mie sfighe, ora sono grato alla vita. Ho fatto il calciatore che era il mio sogno da bambino, sono stato in tanti Paesi e in 13 città, ho imparato 5 lingue. Ho sofferto e abbracciato il dolore, ho vissuto una depressione e l’ho superata, tutto questo mi ha reso una persona molto più completa. La mia non è l’autobiografia di un calciatore perché parliamoci chiaro,io sono un signor nessuno davanti a gente come Ibrahimovic, Totti, Pirlo... È il racconto di una vita vera. Non è tutto rosa nel mondo del calcio, e magari le mie difficoltà possono aiutare altri".
Anni di momenti bui fino alla depressione, dopo la rottura del ginocchio del 2019 con la maglia del Valencia: "Depressione, errori, dolore, disperazione. È stata veramente dura. Ho vissuto tanti mesi nei quali non ero me stesso, ero un’altra persona. Super aggressivo, incazzato col mondo, non mi potevi stare accanto dal nervosismo e dalla negatività che trasmettevo.Triste,depresso, e tutto questo male si riversa nella vita quotidiana, nelle scelte che fai, nelle decisioni che prendi, che spesso si rivelano sbagliate sotto tutti i punti di vista. Sbagliai ad andare a Bergamo: per giocare nell’Atalanta di Gasperini devi essere al 100% fisicamente e mentalmente, e non lo ero. A Valencia sapevano cosa avevo passato fisicamente, a Bergamo no. Mi pagavano, e pretendevano. Ho sbagliato ad andare alla Stella Rossa: a Belgrado ero titolare e non volevo giocare, avevo perso la voglia di fare la cosa che più amavo della vita".
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