FirenzeViola

Europa, whatever it takes: ecco i motivi per cui la Fiorentina non può fare a meno della Conference

Europa, whatever it takes: ecco i motivi per cui la Fiorentina non può fare a meno della ConferenceFirenzeViola.it
© foto di Federico De Luca 2025
Oggi alle 10:00Copertina
di Alessandro Di Nardo

Whatever it takes. A qualunque costo. La frase che pronunciò Mario Draghi nel 2012 si riferiva alla volontà dell'allora governatore della Banca Centrale Europea di fare tutto il necessario per salvare l'Euro. Una frase che, anche per il riferimento diretto all'Europa, potrebbero appendere al Viola Park in questi giorni. Il quadro lo sappiamo bene: la Fiorentina non è padrona del suo destino, è a caccia del sesto posto e per strapparlo deve vincere a Udine e sperare nel colpaccio del Lecce a Roma contro la Lazio. Se gli astri si allineeranno in questo modo sarà...Conference League. Per la quarta volta. Una prospettiva che - è comprensibile - non esalta il popolo viola, che ha subito mostrato uno snobismo (questo meno comprensibile visti i chiari di luna recenti) per la terza competizione della Uefa. Ma il dado è quasi tratto e rimane solo quello in ballo. E quindi, per gli scettici del giovedì, gli 'scansoni', quelli del 'guardate il Napoli che ha fatto senza coppe' (come se Firenze fosse Napoli e De Laurentiis Commisso, con pregi e difetti ben diversi da ambo le parti), ecco una serie di motivi per sperare.

Appeal
Sì, si tratta della terzogenita della Uefa, la più umile tra le sorelle. Sì, ci saranno ancora i Lask e Pafos di turno. Ma resta pur sempre Europa. E questo conta tanto, quantomeno nell'ottica dei calciatori: difficile che profili che in questo momento risultano decisamente più 'grandi' rispetto alla Conference -  ad esempio De Gea o Kean - possano essere entusiasti di rigiocarne un'altra. Ma c'è una sfilza di calciatori che puntano a quello. Pensate a un giocatore semi-sconosciuto, 22 anni, che viene dalla Ligue1, all'Amir Richardson della situazione: vuole andare in Italia e le alternative sono due-tre, una di queste è una squadra che fa le coppe europee. Che club pensate che sceglierà? È un discorso anche di opportunità: più competizioni, più partite, più possibilità di giocare. Altro caso: quello di Nicolò Fagioli, un calciatore dalle indubbie qualità, uno su cui costruire una Fiorentina più ambiziosa. Ecco la sua permanenza, proprio da contratto, è basata sulla qualificazione europea (scatterebbe il riscatto a 13,5 milioni dalla Juventus). E poi il fascino della sfida internazionale, anche fosse un Rfs Riga-Fiorentina a metà novembre alle 16 di pomeriggio, è qualcosa che stuzzica la mente di un professionista. Questione di appeal o di status: confermarsi a certi livelli è necessario per uno come  Rocco Commisso, un businessman con la volontà di accrescere la visibilità del marchio Fiorentina. E un palcoscenico in più aiuta anche per la questione dell'esportazione del brand. 

Crescita
Consolidare uno status è il primo passo per puntare al gradino superiore. A questi livelli conta soprattutto non scomparire dal salotto Uefa. E crescere: ne facciamo un discorso di società, ma anche di singoli. Perché, lo dicono i diretti interessati, per bagaglio di esperienza, una sfida europea ne vale 5 o 6 di campionato. Pietro Comuzzo chiuderà l'annata con vent'anni compiuti a febbraio e una 30ina abbondante di partite. Quelle che lo avranno temprato di più - nel bene o nel male - saranno due. Andata e ritorno contro il Real Betis. Coincidenze? No, tappe necessarie. Un Betis-Fiorentina, per pressioni, atmosfera e contesto differente rispetto a quello domestico, rappresenta un esame da 12 Cfu. Complicato, duro da preparare, ma formativo, in tutti i sensi.

Incasso
Poi c'è il discorso del portafoglio, forse il meno impattante tra i fattori da prendere in considerazione. Perché la Conference non è lontanamente paragonabile alla Champions come introiti, ma neanche all'Europa League. Però garantisce comunque entrate extra. Ha fatto i conti la Nazione, in base a quanto successo nella campagna europea della stagione scorsa (quella finita con la sconfitta in finale con l'Olympiacos). Nel dettaglio, l’essere arrivati in fondo nella scorsa edizione, con la sconfitta di Atene, ha portato nelle casse viola 19,6 milioni di euro (dato a bilancio chiuso lo scorso 30 giugno). Nei prossimi mesi vedremo quanto avrà fruttato l’edizione di quest’anno. Il tesoretto era già di 17,7 milioni, al quale andranno aggiunti gli incassi del botteghino per le gare al Franchi. Insomma, la cifra nei tre anni di partecipazione è sempre stata di poco inferiore ai 20 milioni di euro. Come diceva il maestro Maccio Capatonda, son comunque soldi.

Bacheca?
E poi c'è l'ultimo punto, quello con cui possiamo provare a stuzzicare anche i più radicati anti-Conference che si annidano a Firenze. 13 giugno 2001. George W Bush è da pochi mesi il nuovo presidente degli Stati Uniti, Nicolò Fagioli ha qualche mese e ancora gattona, in Italia circolano ancora le lire e la Fiorentina solleva l'ultimo trofeo della sua storia (Coppa Italia dopo la doppia finale col Parma). Da allora i viola sono tornati quattro volte in finale, due di Coppa Italia e due proprio in Conference. Quest'ultima coppa rappresenta non solo la dimensione attuale di un club che per tanti è rimasto intrappolato nella visione idilliaca del circolo delle sette sorelle - storia di trent'anni fa - ma anche una grossa valvola di sfogo per placare la 'trofofobia' (ammesso che si chiami così la paura o repulsione a vincere una coppa) che attanaglia questa città da venticinque anni. La Conference ti dà una strada, una scorciatoia, per provare a riaprire una bacheca impolverata. E poi diciamocelo, ora come ora la Fiorentina ha un conto in sospeso per un trofeo che al Viola Park rappresenta a tratti un'ossessione simile a quella che spinge Davy Jones a solcare i sette mari alla ricerca dello scrigno che contiene il suo cuore. Per sintetizzare tutto questo, l'Europa aiuta, tutti, ambiente, calciatori e piazza. E quindi l'imperativo è provarci fino al 90', Whatever it takes.