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Un fiorentino nelle Township in Sudafrica: la storia di Ranieri Salvini

Un fiorentino nelle Township in Sudafrica: la storia di Ranieri Salvini
giovedì 24 luglio 2025, 10:13Radio FirenzeViola
di Alessandro Di Nardo

Il calcio come ponte tra realtà agli antipodi. Vi anticipiamo, all'inizio, la morale di una storia senza confini, che arriva a Soweto (Sudafrica), passando per Rio de Janeiro, Corinto (Grecia), toccando le situazioni più critiche di rifugiati e ragazzi al di sotto della soglia di povertà. Questa storia parte però da Bagno a Ripoli, Firenze. Dove adesso sorge il Viola Park, ventisei anni fa nasceva Ranieri Salvini. Uno col viola nel sangue, e nel curriculum: otto anni di settore giovanile della Fiorentina, spogliatoio diviso con Sottil, Ranieri e Zaniolo fin da quando era poco più di un bambino. Poi una serie di infortuni che hanno deviato il corso della sua vita e che lo hanno portato a una laurea in psicologia e a lavorare con WeFootball Academy, una Onlus che usa il calcio per aiutare le comunità più in difficoltà. Da Bagno a Ripoli alle baraccopoli del Sudafrica, il filo comune è rappresentato da un pallone.  Ce lo racconta proprio lui, Ranieri Salvini: "Ho smesso di giocare ad alti livelli da ragazzino, anche per un problema alle anche. Dopo aver giocato per tanti anni alla Fiorentina, sono andato a Empoli, dove ho giocato con Samuele Ricci e Hamed Junior Traorè, poi ho avuto due importanti infortuni alle ginocchia e ho deciso di rivedere le mie priorità".

Da lì un viaggio lungo, lunghissimo, che lo ha portato un po' ovunque: "Ho deciso di investire in altro. Son partito con un Erasmus in Norvegia. Poi ho fatto un volontariato tra la triennale e la magistrale di Psicologia. Sono partito con un'associazione per tre mesi durante l'estate. Lavoravamo in un community center di un campo profughi in Grecia, a Corinto. Da lì mi sono reso conto che avevo un mezzo che gli altri non avevano: la conoscenza e l'abilità nel gioco del calcio. Ho fondato una squadra in quel campo profughi, abbiamo organizzato anche una partita di beneficienza. Da lì ho capito che quella era la mia strada. Dalla vita da calciatore quasi professionista al lavoro nei campi profughi lo stacco è stato importante, ma non ho mai avuto ripensamenti".

Adesso Ranieri lavora con WeFootball e ha scritto un libro, "La via dello sport - una storia nelle baraccopoli sudafricane". Anche perché il vero coinvolgimento nasce proprio lì, dall'esperienza nella township di Soweto, una delle baraccopoli più grandi al mondo: "Sono riuscito a entrare in questa township per caso, anche lì per il calcio. Qualcuno mi ha notato in una partitella e mi hanno chiesto di giocare nel torneo delle baraccopoli. E mi sono ritrovato in un contesto in cui non sarei mai potuto entrare, tutto questo grazie al calcio. Quello che ho visto lì è l'estrema povertà e un alto tasso di criminalità. Mi ero trovato in una situazione simile anche in Brasile, ma quello che ho trovato in Sudafrica è stato enorme, anche per la mole di persone che vivono in quello stato. Per fare un paragone di spazio, è come se in un quartiere grande come Campo di Marte vivessero un milione di persone. Poi lì, nel contesto sudafricano, c'è una divisione netta tra bianchi e neri: i bianchi sono il 7% della popolazione ma vivono in quartieri e strade ad hoc in zone benestanti. Lì nella township credo di essere stato l'unico bianco. Per un bianco è molto difficile andare lì anche perché i privilegiati vengono visti con sospetto".

Nel concreto, Ranieri ci ha spiegato anche come si applica il concetto del calcio come distruttore di barriere: "Sottolineo sempre che il calcio è un mezzo per me, non un fine. Faccio l'esempio di quello che facciamo noi: magari dobbiamo fare delle analisi del sangue a tanti ragazzi che sono lì. Se chiedi a un gruppo di bambini di poterlo fare possono anche tirar fuori le pistole loro. Io vado lì con un pallone, lo butto in mezzo e iniziamo a giocare. Così si stringono legami che poi portano alla fiducia, si crea un contatto che ci aiuta a lavorare. Vai tranquillo che quando vedono un pallone tutti i ragazzi si sciolgono. Da lì poi usiamo il calcio e lo sport per aiutare i ragazzi, per toglierli dalla strada e farli crescere".

Ranieri, 26 anni, ci ha poi tenuto a puntualizzare una cosa: "Vorrei sfatare l'immagine che si ha, anche per colpa dei social, dei bimbi africani sorridenti e sempre felici. Quello che vi posso dire è che la realtà è molto diversa. Ci sono storie instagram di persone che inquadrano bambini che saltano e sorridono. Lì poi si crea la retorica del 'Noi ci lamentiamo e poi guarda quei ragazzi che non hanno nulla...". Ancora una volta: non è così. Son bambini che ridono e saltano, ma non di gioia. Son bambini che muoiono di fame. La felicità è relativa, sì. Ma non è vero che quei bambini sorridono tutto il giorno, quella è un'immagine superficiale. Dietro quei sorrisi c'è una vita che noi non ci immaginiamo".

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