BOJO E I VIOLA, Palloni d'oro e ripicche

25.09.2010 03:00 di  Matteo Magrini   vedi letture
BOJO E I VIOLA, Palloni d'oro e ripicche
FirenzeViola.it
© foto di Federico De Luca

Avete presente quelle passioni violente, improvvise, brevi ed intense? La storia tra Valeri Bojinov e la Fiorentina è un po' così. Un colpo di fulmine accecante. Un bagliore di luce arrivato in un momento di buio pesto e scomparso prima ancora di poterlo ammirare.

IL GRANDE AMORE - Tutto iniziò in un freddo, freddissimo inverno fiorentino. La squadra viola, tra torti arbitrali e giocatori mediocri, rischia di sprofondare nell'abisso appena abbandonato della serie B. Il rimedio ha un nome e un cognome, nella testa dei dirigenti. Valeri Bojinov. Acquistato per 16 milioni di euro, il bulgaro si presenta così: "Voglio diventare il nuovo Batistuta, a Firenze posso vincere il pallone d'oro e andremo in Coppa Uefa". Olè, viva l'umiltà. I primi mesi vivono di passione forte, ma un infortunio frena il "Bojo" nel suo momento migliore. Tornerà in tempo per segnare un gol decisivo al Chievo (per la salvezza, non per l'Europa) e per mostrare orgoglioso il tatuaggio "di giglio". Che poi è un indiano, quello del Collettivo, ma per Valeri è la stessa cosa.

IL GRANDE FREDDO - Ma quella tra Bojinov e la Fiorentina, ve l'abbiamo detto, è storia quasi violenta. Nel bene, e nel male (soprattutto). Basta un anno, da gennaio 2005 a gennaio 2006, per capovolgere il mondo. Da salvatore della patria, simbolo di una società che sogna un futuro radioso, a peste da cacciare. Perugia, 15 gennaio, in scena il dramma Bojinov-Fiorentina. Il ragazzo, finito nel frattempo alle spalle di Toni e Pazzini, si vede scavalcato anche dall'ultimo arrivato Jimenez e, negli spogliatoi, perde il controllo. Attacca a male parole mister Prandelli e arriva quasi allo scontro fisico niente di meno che con Andrea Della Valle, all'epoca Presidente. Non esattamente un colpo di genio, ed infatti Bojinov finisce dritto fuori rosa. Lo cerca l'Inter, ma la società viola (per ripicca?), lo stoppa. Le telecamere, il giorno del no definitivo ai nerazzurri, lo pizzicheranno in lacrime. Sarà reintegrato in gruppo qualche giorno dopo, ma la spaccatura in realtà non verrà mai sanata.

L'ARRIVEDERCI E L'ADDIO - La pace, se mai arrivò, durò pochissimo. Nell'estate del 2006 la Fiorentina cede colui che fu bimbo prodigio alla Juventus in prestito, nell'ambito dell'operazione Mutu. Approdato alla Vecchia Signora, Bojinov, si lascia andare a dichiarazioni che rimbombano forte a Firenze: "E' un onore vestire la maglia bianconera, la Juve è sempre la Juve e del passato non mi interessa anche se i fiorentini odiano questa squadra". Non l'avesse mai detto. Il popolo viola segna, e mette in conto. Ma non è tutto. Il bulgaro annuncia fiero di essersi "coperto" quel famoso tatuaggio. Come dire, meglio cancellare ogni traccia di viola. La passione è svanita, è il tempo del rancore. Dopo un anno torna alla Fiorentina, che lo pone davanti ad una scelta. "O rinnovi il contratto o te ne vai". Facile indovinare quale fu la risposta del ragazzo. Niente firma, e cessione, questa volta definitiva, al Manchester City.

LA RESA DEI CONTI - Il ritorno in Italia, però, è dietro l'angolo. Bojinov va al Parma, e al ritorno al Franchi, da avversario, segna sotto la Fiesole facendo di tutto meno che frenare l'esultanza. E' la goccia che fa traboccare il vaso. Nella gara di ritorno, al Tardini, i tifosi della Fiorentina lo ricoprono di fischi ed insulti. Dall'amore all'odio, il cammino è completo. Valeri segna ancora, e corre furioso verso il settore ospiti metendosi le mani alle orecchie. "Come dite? Non vi sento", è la sfida del centravanti.

Il resto è storia recente. Bojinov che in conferenza stampa si dice pronto all'ostile accoglienza del Franchi e i tifosi viola che scaldano la voce per inondarlo di tutto il loro rancore. A volte va così. A volte, quello che sembra un amore travolgente, si trasforma in un odio (se nel calcio ha un senso usare questo termine) cattivo. Ma ormai è andata, e pensare a quello che poteva essere, e non è stato, non ha senso.