LE OMBRE DI CESARE E IL CORAGGIO DELL’ADDIO: PER LA FIORENTINA È UN GIORNO TRISTE, LE SUE DIMISSIONI UNA SCONFITTA PER TUTTI
Cesare Prandelli è una persona rara. Composto, onesto, educato, gentile, fragile, passionale, profondo, vulnerabile, ma anche per niente disponibile ai compromessi. Che anche in un momento di sofferenza intima, ha scelto di andarsene alla sua maniera. Con coraggio, mettendo le sue debolezze a disposizione di una città diventata casa sua ormai da molto tempo. Lui, uomo del nord, chiuso e introverso, che diventa un libro aperto. Per affetto, per la chiarezza che merita una tifoseria confusa, per quel rapporto speciale che gli aveva subito fatto dire sì, senza pensarci, senza riflettere sui rischi di rimettere in ballo i meravigliosi ricordi della Fiorentina che fu e di un ciclo difficilmente ripetibile. Le ombre di cui parla nella sua bellissima lettera, la consapevolezza di sentirsi inadeguato in un mondo che lo ha visto protagonista fin da ragazzo, sono l’inizio della fine. Il Prandelli allenatore chiude qui la sua avventura: l’avido calcio di oggi, schiavo dei soldi, coi giocatori in mano ai procuratori e alla bile dei social, non fa più per lui. L’uomo però resta un esempio per tutti noi, ora più che mai.
Per la Fiorentina è un giorno triste, l’addio di uno dei più bravi allenatori passati di qui negli ultimi vent’anni, l’unico in grado di vincere cento partite in Serie A con questa maglia, è l’ennesima mazzata di questi anni bui, passati con l’acqua alla gola e nel rabbioso disagio di essere piccoli. Nessuno, nemmeno Commisso, si aspettava un epilogo così. Prandelli per primo, anzi, era convinto di avere in mano una squadra promettente, immatura forse, ma anche molto al di sotto del suo reale potenziale. Gli sono bastate poche settimane però, per cambiare opinione. Si spiegano così le formazioni piene zeppe di difensori, il repentino ritorno al 3-5-2, la stanchezza più volte espressa nelle interviste, la tensione e l’inquietudine di non riuscire a trovare la chiave giusta per cambiare il destino di quest’annata orribile, per evitare errori marchiani e incomprensibili come quelli che, partita dopo partita, macchiano la classifica e fanno perdere partite come quella contro il Milan, o rischiavano di compromettere vittorie come quella di Benevento. In questi mesi Prandelli non ha mai fatto il Prandelli, ha provato a scendere a compromessi per raggiungere l’obiettivo, ha lanciato Vlahovic, ma poi ha scelto di dire basta. Dimettendosi, con dignità praticamente unica in un modo fatato come quello del pallone, ammettendo i suoi limiti come fece in Nazionale, al Valencia, in Turchia e anche a Roma, dopo la tragica notizia della malattia della sua Manuela.
Che Cesare non fosse un traghettatore, era chiaro dall’inizio. Per entrare nella testa della sua squadra, ha bisogno del lavoro sul campo, di scegliere gli uomini prima dei calciatori, di sentirsi in sintonia. Tutte cose che alla Fiorentina non ha potuto avere. E i risultati, purtroppo, si sono visti.
Anche per questo le sue dimissioni sono una sconfitta per tutti e un colpo pesantissimo all’immagine viola. La società in primis non è riuscita a sostenere l’allenatore, soprattutto in quel rapporto difficile con una parte dello spogliatoio. In troppi smaniano dalla voglia di andarsene, qualcuno c’è riuscito a gennaio, qualche altro lo farà a giugno: in un contesto così sarebbe dura per chiunque, figuriamoci per un uomo che sentiva questa chiamata alle armi come una missione. Prandelli si è sentito solo, forse anche inadeguato, nonostante quell’indiscutibile talento che lo aveva portato in Champions, a sfiorare coppe e a diventare ct azzurro. Per qualcuno era ormai superato, inadeguato al calcio attuale, un ex tanto per farla breve. Spesso però criticare formazioni o cambi più o meno tardivi, significa guardare il dito e non la luna, come dice quel vecchio proverbio cinese. Nella Fiorentina c’è qualcosa di sbagliato che porta a cambiare allenatori come fossero paia di scarpe, senza però che le cose cambino sul serio.
Da oggi comunque si riparte con Iachini, sperando che il pragmatico e grintoso Beppe, sappia almeno lavorare sui nervi della squadra per tenere a distanza il terzultimo posto. Per il futuro poi, ci sarà da far tesoro degli errori e cambiare molto. Forse tutto. Prandelli invece, una volta passata la tempesta dentro se stesso, lo ritroveremo a prendere il caffè in via Tornabuoni, a passeggiare per le vie del centro o a curare i suoi ulivi. A Firenze, casa sua.