IL TRAMONTO DELL'AREA MERCAFIR E UN DIVIETO DISCUTIBILE SUL FRANCHI: LE REAZIONI VIOLA
L’ipotesi di un nuovo stadio nell’area Mercafir affonda nemmeno fosse il Titanic. Quel che nell’aria si respirava da tempo si è concretizzato ieri, con una lettera firmata Rocco Commisso che avrà riportato la memoria di qualche tifoso ad altri tempi e ad altre lettere. Anche perché, rispetto alla recente storia della Fiorentina, le parole del presidente americano non sono poi così diverse da quelle ascoltate nell’ultimo decennio. Le distanze tra Fiorentina e Comune tornano a farsi sensibili, forse persino più di quanto non sia capitato durante la gestione Della Valle, e l’unica certezza di oggi, oltre alle immagini impietose di uno stadio non certo in condizioni ottimali, è che immaginare uno stadio in tempi brevi è pura utopia.
Vien da pensare che il “fast fast fast” di commissiana memoria si sia sposato solamente con i tempi necessari per capire che sull’area Mercafir non ci sarebbe stato acordo. Dopo oltre un decennio di dialoghi con la famiglia Della Valle almeno con questa nuova proprietà si è capito in poco più di sei mesi che il discorso stadio si sarebbe impantanato, un periodo certamente più breve di quanto accaduto in passato seppure gli attuali chiar di luna restituiscano qualche giustificazione in più alla famiglia marchigiana e ai motivi per non presentare nessun progetto definitivo.
Chiare, chiarissime, le parole contenute nel comunicato della Fiorentina cui ha risposto qualche ora più tardi il Sindaco, delineando uno scenario di nuova incertezza dal quale Commisso ha deciso di affrancarsi. Altrettanto chiare quelle del Sindaco, seppure d'inaspettato ci pare fosse ben poco. Se l'invito all'investimento va comunque nella direzione di un club che ha già preventivato grossi esborsi per il centro sportivo, oltre a un paio di mercati non proprio economici, sono i tempi che hanno fatto saltare il banco. La mission di avviare la stagione 2023/2024 nel nuovo stadio, di cui si parlava soltanto a ottobre scorso, oggi naufraga di fronte ai venti mesi necessari per il primo vero passo di tutto l'iter, quello che scatterà all'apertura delle buste e che farebbe slittare qualsiasi ulteriore step al febbraio del 2022, termine in cui Commisso riceverebbe l'area libera. E' poi anche per questo che la Fiorentina si è chiamata fuori.
Senza partecipare al bando per l’area Mercafir le strade restano due: cercare nuovi siti o ripensare gli interventi sul Franchi. Così se su Campi resistono le nebbie dei tempi e dei costi di una macchina burocratica che dovrebbe ripartire da zero, sull’ipotesi d’intervenire sul Franchi pesano come macigni le restrizioni imposte dalla Soprintendenza.
Non è dato sapere se, veramente, la Fiorentina ha presentato un progetto per il restyling del Franchi o meno (come ha fatto sapere il soprintendente Pessina) di certo fin dai primi giorni fiorentini di Commisso si è capito che il problema di un impianto considerato monumento sarebbero state le opere di cambiamento strutturale, a cominciare dalle famose scale elicoidali. Una soluzione architettonica certamente passata alla storia e altrettanto innovativa, ma che oggi ha soprattutto il sapore di un ostacolo che dal passato si oppone al futuro.
Perché certamente lo stadio di Firenze sarà un’opera d’arte, ma altrettanto certamente nel 2020 è completamente lontano dagli standard moderni degli altri impianti, e altrettanto certamente non è una consolazione pensare che appena 30 anni fa era stato ritoccato per il mondiale italiano. Il Franchi è un bene di Firenze e della cittadinanza, ma al tempo stesso chi lo frequenta sa bene quale limiti e quali problemi presenti (non solo a livello meteorologico ma anche strettamente igienico) perché non più in linea con i tempi. Senza contare che se mai, davvero, Firenze si dotasse di un nuovo stadio sorgerebbero ben altri problemi legati a un impianto da non abbandonare come capitato altrove.
Valutazioni che la Fiorentina ha scritto tra le righe della lettera di Commisso, una sorta di ultimo disperato tentativo per capire se anche il Campo di Marte resterà un tabù sia sul piano dello stadio che di quello, altrettanto importante, delle aree commerciali a sostegno. In un momento di stallo non sarebbe male se i linguaggi diversi che da sempre contraddistinguono le riflessioni sullo stadio cercassero semplicemente nuove traduzioni e nuove forme di confronto. Consentendo all’investitore di investire e all’amministrazione di mettere in condizioni la città intera di approfittare dell’occasione non così ricorrente. In fondo se le regole servono anche a vivere meglio, non si capisce capire perché quelle stesse regole obblighino un tifoso, un cittadino, ad affrontare i disagi che lo stadio di oggi comporta.
Tommaso Loreto - www.firenzeviola.it