"E POI SI VA TUTTI ALLIVERPU'..."
No, nessun errore. Lo sentivo dire da mio nonno, nel lontano 1982: "Si vince lo scudetto e poi...si va alliverpù." Come dire...si va a giocare con quelli bravi, con quelli forti. Povero nonno, non ha mai avuto questa soddisfazione. "Liverpù" (detto alla sanfredianina) per lui era una cosa ancora superiore di vincere uno scudetto, era il premio per essere diventato campione d'Italia, era il traguardo massimo cui poteva aspirare un tifoso qualunque. Ed invece tutto questo è rimasto una favola, un miraggio, appunto...un sogno. Anche per uno della mia generazione "Liverpool" è favola, leggenda, è qualcosa che sta a metà tra storia e mito. Anche per uno della mia generazione parole e luoghi come "Anfield road", "Kop", "You'll never walk alone" sanno di magia, di qualcosa che esiste ma si confonde con il sogno di bambino, un miraggio irraggiungibile lassù oltre lo stretto di Gibilterra. E non c'è Real Madrid, Barcellona, Manchester che tengano...e ancora meno le strisce nostrane che, un tempo, tremavano nel mese di agosto quando il sorteggio formava le coppie per i 32esimi della vecchia (ma gloriosa) Coppa dei Campioni. Liverpool era tutto questo e anche di più. Liverpool (perdòn, "illiverpù") era la classe infinita di KKK (King Kevin Keegan) fuoriclasse degli anni 70', vincitore di due edizioni del "pallone d'oro" (78' e 79'), uno dei primi a tradire la terra d'Albione trasferendosi a peso d'oro in Germania, all'Amburgo. Era l'eleganza e la signorilità di un portiere come Ray Clemence che, con Peter Shilton (e prima di loro c'era stato Gordon Banks, portiere al mondiale del 1966, unico titolo conquistato dall'Inghilterra) formarono la grande tradizione dei numeri 1 inglesi. Era la velocità, l'imprevedibilità di gente come Kenny Dalglish (ala scozzese chiamata a sostituire Keegan) oppure di Jimmy Case e Terry Mc Dermott... Che grande squadra era quella... Ricordo come fosse ora la prima volta che vidi una partita di quel fantastico undici, allora allenato da Bob Paisley. Era il 1977 quando i "reds" si aggiudicarono la loro prima coppa dei campioni battendo i tedeschi del Borussia Monchengladbach. Fu un 3-1 schiacciante (ancorchè i tedeschi fossero fortissimi) nella finale dell'Olimpico di Roma. Da allora andare a giocare a Liverpool diventò quasi uno slogan, un modo di dire... "ce l'abbiamo fatta", siamo anche noi tra i grandi d'Europa. A questo proposito restano un esempio illuminante i giorni che avvicinavano il 16 maggio 1982, data storica ma, ahimè nefasta per tutti i tifosi viola. Doveva essere la data dell'apoteosi, della gioia infinita, della consacrazione di una amore sconfinato...il nostro, per il giglio di Firenze. Doveva essere la data del terzo scudetto dopo di che tutti si sarebbe detto..."si va alliverpù" per poter dire "io c'ero". Ed invece l'appuntamento con la storia fu rimandato, fino ad oggi, anche se il terzo scudetto appare ancora lontanissimo.
Il Liverpool attuale è ben diverso. La squadra è fuori dalla Champions League (guarda caso ci ha pensato la Fiorentina ad eliminarla), vive un momento di crisi anche in campionato, non ha più in rosa nomi ammantati di leggenda. Rimane il fascino, la storia, la maglia di un rosso fuoco, segno di vita, di forza, per anni indistruttibile. E allora lo diciamo adesso (per una volta diciamolo bene)... "si va a Liverpool". Arriveranno in tremila, eroici, da Firenze, loro si che non si vorrebbero più svegliare dal sogno che finalmente si avvera. E quando l'inno "You'll never walk alone" riecheggierà ad Anfield, sarà un canto che unirà due tifoserie gemellate sotto la bandiera dello sport e del "fair-play". Signori tutti in piedi perchè... "si va "alliverpù" e, udite udite, classifica alla mano ci andiamo da favoriti.