METEORE VIOLA, Smoje, l'altezza non e' tutto

01.12.2008 09:01 di  Redazione FV   vedi letture
Fonte: TMW
METEORE VIOLA, Smoje, l'altezza non e' tutto
FirenzeViola.it

Sembra impossibile, ma una volta il Milan prese davvero un giovane difensore per svecchiare il proprio reparto arretrato. Questo fallì - dopo una peregrinazione triennale fra Monza e Terni -, e da allora il club rossonero praticamente non ci riprovò più, se non in maniera molto timida. La storia di Dario Smoje è da antologia delle meteore, una pagina da conservare per gli appassionati del genere. Perché un conto è essere alti, e un conto è essere all'altezza...

Dario Smoje nasce il 19 settembre 1978 a Rijeka/Fiume, e già da bambino respira in famiglia aria di sport. Suo padre Krasnodar, all'apparenza un semplice meccanico, in realtà da giovane è stato il playmaker della Kvarner Rijeka, una delle squadre di basket più prestigiose a livello europeo. Anche sua madre Jadranka, di professione infermiera, vanta un glorioso passato come pilastro della Zamet, celebre squadra di pallamano jugoslava degli anni '70. Da loro, il piccolo Dario (secondogenito) eredita innanzitutto l'alta statura, e poi l'immensa passione per lo sport: sceglie però il calcio, ed entra a far parte del magico mondo del professionismo a soli 17 anni, quando l'NK Rijeka gli apre le porte della prima squadra. A compiere insieme a lui il salto dalle giovanili c'è l'attaccante Bosko Balaban, ex Bruges e Aston Villa. Nelle due stagioni in riva all'Adriatico, nonostante la giovanissima età, il difensore accumula 49 presenze, togliendosi anche lo sfizio di andare due volte in gol. Le caratteristiche del ragazzo sono ormai note agli osservatori di mezza Europa: buoni mezzi fisici, ottimo stacco di testa, tenacia e aggressività nei tackle. Insomma, Dario dimostra in campo una personalità decisamente sbalorditiva rispetto alla sua età; non a caso comincia ad entrare assiduamente nel giro della Nazionale croata, prima in Under 18 e poi in Under 21. Nell'estate del 1996 la Fiorentina lo chiama per un provino di due settimane con la Primavera: il tecnico Luciano Chiarugi lo manda in campo nel torneo giovanile di Vignola, ma il Rijeka per venderlo chiede cifre improponibili, e l'affare con i viola sfuma. Il passaggio in Italia è solo di poco rimandato. Alcuni osservatori si recano a Sanremo, nel gennaio del '97, per vederlo all'opera con la Croazia Under 18 nel match amichevole contro i pari età azzurri. Smoje segna il gol del 2-0 al 32' del secondo tempo, e si aggiudica la palma del migliore in campo, oscurando anche le stelle di Ivica Olic e di Ivan Javorcic, che in quel periodo era appena giunto nelle giovanili del Brescia. Ed è proprio il club lombardo, di lì a pochi giorni, a chiedere ufficialmente Dario alla società proprietaria del suo cartellino. Poi a luglio entrano in scena le big: la Juventus, in particolare, parla con il Rijeka - che anche grazie alle prestazioni di Smoje ha appena ottenuto uno storico quarto posto in campionato - strappando un accordo di massima sulla base di un miliardo e mezzo di lire, grazie anche all'intermediazione dell'agente italiano Luciano D'Onofrio. La società croata convoca in sede il ragazzo, insieme alla sua madre-manager Jadranka (coadiuvata dal sapiente Marko Naletilic), la quale però riferisce di aver avuto richieste anche da Parma e Milan. Soprattutto i rossoneri non sembrano rassegnarsi a perdere il giocatore, e colloquiano con Luciano Moggi al fine di trovare un gentlemen agreement. Alla fine, il 10 luglio 1997, il trasferimento di Smoje al Milan si finalizza: il giocatore firma un contratto quadriennale sotto gli occhi di Ariedo Braida e di Franjo Soda, direttore generale del Rijeka. La Juve, si dice, ha "signorilmente" lasciato campo libero agli avversari. Fair play, o semplicemente un momento di lucidità?



Il "gigante buono del Milan" - come titola la Gazzetta dello Sport il giorno della sua presentazione - prende confidenza con Milanello subito dopo la firma del contratto. Banali ma pur sempre efficaci le sue parole d'esordio: "Sono impaziente di cominciare quest'esperienza. Per me è un sogno approdare al Milan, la mia squadra preferita da sempre. Il mio agente (Naletilic, ndr) mi ha sempre portato dall'Italia dei regali. Il più gradito? La maglia di Costacurta, è il mio idolo insieme a Baresi. Spero di conoscerli al più presto". Il neo-tecnico Fabio Capello in realtà stravede per questo ragazzo, e punta anche sui suoi 192 centimetri di altezza per riaprire un ciclo vincente in casa rossonera. Quello della difesa granitica in effetti è uno dei pallini del coach friulano, che non a caso in quell'estate pesca anche Bogarde, Ziege, Nilsen e Cardone, tutti vicini al metro e novanta. "Se si azzardano a prendere un gol di testa, giuro che li ammazzo..." scherza (o no?) mister Capello, che su Smoje aggiunge: "Potrebbe essere più che una sorpresa. Pensate che Boban non lo conosceva, ora vuole farlo convocare in tutta fretta nella Nazionale croata. Mi ricorda Collovati. Questo diventerà un grande giocatore, garantito al cento per cento". Ma sono parole d'agosto, pronunciate quando il caldo torrido dà alla testa, quando Kluivert segna a raffica nelle amichevoli, quando Ba e Andreas Andersson non sembrano poi così male, e quando Smoje sembra inarrestabile sia come centrale che come terzino destro. Impressiona, il croato, che a ferragosto torna per una breve vacanza nella sua Fiume e viene accolto come una rockstar: il sindaco si fa perfino regalare una sua maglia con il numero 24. Boban, quello che non lo conosceva, ora lo definisce: "Bello, elegante e… speriamo si fermi a un metro e novantadue! In caso contrario c'è sempre la Stefanel, il basket...". Che lenza, Zvone. E prosegue: "E' un ragazzo semplice e molto sicuro. Dobbiamo comunque sempre tener presente che non ha ancora 19 anni e in questa squadra può solo imparare. Qui uno come lui deve guardare, ascoltare, seguire gli insegnamenti dei vecchi saggi". Ok, ma anche giocare non guasterebbe. E in effetti Capello lo mette dentro quasi sempre, fino a quando le temperature si abbassano e in campo si inizia a respirare un clima più teso, quello del calcio vero. Il nostro Dario esordisce in gara ufficiale in Reggiana-Milan di Coppa Italia, il 3 settembre: i rossoneri non sono in giornata e lui ne è l'emblema, finisce 0-0 con il croato espulso a dieci minuti dalla fine. Ma la sua prima convocazione in Nazionale maggiore, che gli piove sulla testa la sera stessa, lo tira decisamente su di morale. Il campionato inizia, ma Smoje - richiesto vanamente in prestito da Empoli e Fiorentina - viene mandato inizialmente a farsi le ossa nel Campionato Primavera: alla prima giornata si segnala subito per un maldestro autogol contro il Padova. Capello intanto perde per infortunio Cruz, Maldini e Ziege: il croato servirebbe alla prima squadra come il pane, ma ha guai fisici anche lui e si brucia dunque questa chance. Il Milan precipita verso il fondo della classifica e la dirigenza mette seriamente in discussione le scelte di mercato operate in estate. Dario viene abbandonato al suo destino, limitandosi a fare capolino in panchina di tanto in tanto; Capello sotto Natale gli dà il contentino, gettandolo nella mischia nel corso di una inutile amichevole in Israele. Ma in campionato ancora nisba: del resto il ragazzo non ha il passaporto comunitario, e deve dunque fare spazio ai vari Leonardo, Savicevic e Boban. A gennaio tutti danno per scontata una sua cessione, tranne il cocciuto Capello, che decide di tenerselo stretto. Lo manda in campo quando è proprio sicuro che il ragazzo non possa fare danni: contro il Piacenza, il 2 febbraio '98, Maniero segna l'1-0 al '90 e dopo pochi istanti Smoje viene chiamato ad assaporare, per la prima volta, il gusto della serie A. Qualche minuto prima del triplice fischio, sempre meglio che niente. Più rischioso l'impegno cui è chiamato dieci giorni dopo, sempre in casa ma contro l'Udinese: stavolta Smoje entra al 23' del secondo tempo sullo 0-0, e da tenere d'occhio c'è un certo Oliver Bierhoff, per fortuna non in serata di grazia. Il croato non dispiace, e ci prende gusto: addirittura, la settimana successiva, parte titolare contro il Vicenza e conduce i suoi alla vittoria per 4-1 (ma il gol dei veneti è frutto di una sua disattenzione). Capello prende coraggio e ci riprova, concedendogli di nuovo un posto da titolare contro il Parma, ma alla terza il croato stecca terribilmente. Impiegato a sinistra per necessità, non riesce mai a contenere il connazionale Stanic; dopo un quarto d'ora l'allenatore lo manda a destra, ma anche qui Fiore fa il bello e il cattivo tempo. All'intervallo ancora uno spostamento, quello dal campo alla panchina: lo rimpiazza il diciottenne Alberto Comazzi, per la serie "peggio di così…". Altro disastro simile il 6 aprile al San Nicola contro il Bari (1-0 per i pugliesi), qualche cenno di ripresa la domenica dopo contro l'Atalanta (3-0 per il Milan), e infine il tracollo finale contro il Bologna, datato 20 aprile. Qui Smoje, lanciato titolare in coppia con Costacurta e considerato da tutti "in ripresa", ha enormi responsabilità sia sul gol di Baggio che su quello di Fontolan. "Due peccati di gioventù" minimizza Capello, che però se la lega definitivamente al dito. Sarà quella la sua ultima apparizione in serie A; il tecnico friulano non gli concede neanche il palcoscenico della finale di ritorno di Coppa Italia contro la Lazio, anche se il croato all'andata aveva giocato niente male. A giugno Smoje è uno dei primi a fare fagotto, specie con l'arrivo di Alberto Zaccheroni al posto del suo mentore Capello. Ma il Milan non si arrende e decide di giocarsi l'ultima carta, prima di dichiarare ufficialmente di aver gettato all'aria un miliardo e mezzo. Lo manda in prestito al "solito" Monza, nel campionato cadetto: i tifosi brianzoli non fanno i salti di gioia, ma del resto l'essere una società satellite comporta pur sempre croci e delizie…

Smoje è un giocatore da serie B. Non suoni come un'offesa: è che il croato, riportato su ritmi meno frenetici, sembra trovare almeno fiducia incondizionata e un posto da titolare quasi assicurato. Il team di Pierluigi Frosio vanta nomi interessanti (Oddo, Moro, Annoni, Vignaroli, De Zerbi, Corrent…), e tuttavia non riesce a fare risultato con continuità. Il nostro Dario fa quello che può, non giocando male ma nemmeno impressionando. Va pure in gol, il 24 gennaio contro l'Atalanta, scoprendo l'emozione di segnare in Italia. E mentre il ragazzo si spende le ultime cartucce con l'Under 21 - cessato in brevissimo feeling con la Nazionale maggiore - il moscio campionato del Monza si chiude, con la classifica finale che vede i lombardi a soli quattro punti dalla zona retrocessione. Nella stagione 1999/2000 la musica non cambia di molto: Smoje viene raggiunto dalle altre meteore rossonere Beloufa e Brncic, e il risultato - com'era prevedibile - cambia in peggio. Il croato va a segno alla prima di campionato contro l'Alzano, ma poi si rituffa nell'anonimato; persino il modesto Brncic fa meglio di lui. A maggio il Monza riesce a salvarsi dalla retrocessione per il rotto della cuffia, ma procede ad un sostanzioso repulisti. Smoje va a finire all'ambiziosa Ternana, che guidata da Andrea Agostinelli vuole togliersi qualche soddisfazione nel campionato cadetto; il club umbro, in virtù di un buon canale preferenziale con la dirigenza del Milan, prende dai rossoneri anche Cavallo e Cordone, trattenendo pure Teodorani. Dario è considerato un acquisto "di lusso" dai rossoverdi, e in effetti gli viene conferita molta fiducia, anche perché vuoi o non vuoi le ultime due stagioni le ha disputate da titolare. E proprio da titolare parte il croato, alla prima del campionato 2000/01, nel difficile match di Marassi contro la Sampdoria: ma al 45' si fa espellere per doppia ammonizione, aiutando i doriani ad imporsi per 2-1, e se il buongiorno si vede dal mattino… Contro il Cittadella, due settimane dopo, la sconfitta è ancora più pesante (3-1) e allora si comincia a capire che c'è davvero qualcosa che non funziona. E che quel qualcosa, forse, è proprio Smoje - da antologia la sua immobilità sul terzo gol del Cittadella -, che infatti viene sostituito prima da D'Aloisio e poi dal compianto Vittorio Mero. Non a caso, senza di lui (fatta eccezione per pochi minuti contro il Torino, a fine ottobre) la Ternana sfiora un'incredibile promozione in A, conquistando comunque un decentissimo sesto posto. Al nostro difensore non rimane che abbandonare l'Italia e tornare in patria, accasandosi alla Dinamo Zagabria, stavolta a titolo definitivo. Del nostro Paese porta via soltanto brutti ricordi e un inutile record: nel campionato 97-98 è stato il giocatore più alto tra quelli di serie A. Roba da malati delle statistiche.

Nel primo anno a Zagabria, Smoje è costretto a ritagliarsi un ruolo di secondo piano, ma contribuisce comunque con 13 presenze e 3 gol al terzo posto finale in campionato, e alla vittoria della Coppa di Croazia. L'anno dopo va meglio: 25 presenze e addirittura 6 reti messe a segno (quasi tutte di testa), con uno scudetto croato - il primo trofeo della sua carriera - vinto da protagonista. Le sue buone prestazioni fanno ingolosire l'NK Zagabria, che decide di acquistarlo nell'estate del 2003. Per Dario è un periodo d'oro: a febbraio ha finalmente debuttato in Nazionale maggiore nell'amichevole contro la Macedonia (resterà la sua prima e unica partita con la Croazia), e fisicamente è in gran forma. Insieme a Robert Prosinecki - alla sua ultima stagione - contribuisce a suon di gol (9 per l'esattezza) alla salvezza tranquilla dell'NK. Ma la Dalmazia, ora, gli va di nuovo stretta. Ben lungi dal ritentare un'avventura in Italia, Smoje cerca allora fortuna in Belgio, e nel 2004 firma con il modesto K.A.A. Gent, che fa capo alla cittadina di Gand. Da lì non si è più mosso. Del resto, perché dovrebbe? Attualmente Dario è uno dei difensori migliori del campionato belga, tanto da aver suscitato in questi ultimi anni l'interesse di diversi club europei di prima fascia (nel dicembre 2006 era nel mirino di Anderlecht, Besiktas, Trabzonspor e Siviglia). Nella rosa del Genk si è imbattuto in personaggi del calibro di Domoraud, Fadiga e Aliyu - tutte meteore rigorosamente made in Milano -, che di certo con i loro racconti non gli hanno fatto venir voglia di tornare in Italia. E dire che a 27 anni, con l'esperienza e le doti tecniche che avrebbe, magari un ingaggio in un club medio-basso di serie A riuscirebbe a trovarlo senza grossi problemi. Se la tenga stretta, il sindaco di Fiume, la sua maglia rossonera numero 24: chissà che il futuro di questo ragazzo non possa riservare davvero qualche sorpresa…