IL PECCATO ORIGINALE E UN (ALTRO) SOGNO INFRANTO
IL VALORE DELL'ESPERIENZA - L'esperienza dovrebbe insegnare a trarre dai propri errori lezioni per il futuro, permettendo così di provare a migliorarsi. Questa regola non sembra funzionare in casa Fiorentina, e far memoria del passato sembra un aspetto secondario nei corridoi del club. Non si spiegherebbe altrimenti il ripetersi di storie e vicende che, anche questa volta, ci portano a vivere di questi tempi una lenta agonia. Mentre in Inghilterra una squadra passa dalla salvezza al titolo in un anno, coltivando un sogno impossibile, tra l'altro con un ex viola in panchina, da queste parti i sogni svaniscono insieme alla stagione invernale. Anche quest'anno, il primo sole primaverile si porta via gli ultimi sprazzi di speranza, e con essi tutte le certezze per il futuro, se è vero che ad oggi non è dato sapere nè chi ci sarà in panchina, nè tanto meno chi resterà nella dirigenza.
IL BUIO DOPO ROMA - Certamente, nel bel mezzo della delusione che vivono i tifosi viola, c’è un gruppo che dà la sensazione di aver mollato nel momento più difficile, senza fare tesoro di quanto accaduto nella passata stagione. Allora l’apporto societario fu più o meno identico, ma i palcoscenici più importanti di quelli attuali. Il crollo di quella Fiorentina montelliana sui due obiettivi alla portata (Coppa Italia ed Europa League, al di là della reazione importante che portò al 4’ posto sul fil di lana) fa il paio con la caduta di questa squadra. E potremmo considerarlo un tris, contando anche la finale di Coppa Italia persa con il Napoli, l'anno precedente. Una Fiorentina, quella di quest'anno, colpita nell'anima dal mese di gennaio, e da ciò che ha rappresentato. E poi sgretolata dalla sconfitta di Roma. Da quel momento, una lenta discesa, ed eravamo più o meno ai primi di marzo. Una squadra sì lasciata sola, ma forse anche caratterialmente non così forte, visto che il gruppo è più o meno lo stesso degli ultimi anni e che le avversarie che hanno sancito l'attuale scivolone non sono esattamente top club (Verona, Frosinone, Sampdoria, Empoli).
ALIBI PERICOLOSI - Di certo, chi ne dev’esser uscito male da quel periodo, è Paulo Sousa. Oggi lontano parente di quello ammirato da settembre a Natale. Negli atteggiamenti, nella comunicazione, e nei risultati. Ed è poi leggendo nei freddi numeri (gli stessi che parlano di una sconfitta a Empoli che mancava da 30 anni) che se non si vuol parlare di condanna, è innegabile dover registrare comunque una resa non giustificabile. Il portoghese ha certamente facoltà di non dover spiegare a nessuno con chi va a cena (anche se le coincidenze saltano all’occhio al pari delle mancate smentite o degli emissari dello Zenit in tribuna ieri a Empoli), ma avrebbe potuto e dovuto gestire diversamente questi ultimi due mesi. Evitando qualsiasi alibi legato all’assenza societaria che, invece, si è pian piano fatto spazio in panchina e nello spogliatoio.
UN SOGNO INFRANTO - Si dirà, semmai, che i limiti della squadra e dei singoli erano questi, che il girone d'andata non doveva illudere troppo, e che ai nastri di partenza persino un quinto posto poteva essere considerato risultato positivo. Ma intanto le contingenze positive, quelle che capitano raramente, sembravano esserci. E poi è un altro il nodo, il peccato originale della Fiorentina che (di nuovo) si ritrova nel caos. Perché è un sogno infranto la sensazione che pervade la tifoseria. Un sogno inzialmente alimentato da Sousa e dalla squadra, fino a quando la realtà non si è rivelata diversa. Un sogno cullato da una città intera, ma accantonato e strozzato da dinamiche interne alla società. Che, ci pare, sono sempre le stesse finite nel mirino delle critiche degli ultimi anni.
COME UN ANNO FA - E dire che una certa strategia aveva già fatto acqua da tutte le parti non più tardi di dodici mesi fa. La comunicazione sballata a 360 gradi (dalla distanza eccessiva con la piazza fino alle uscite controproducenti come nel caso del mancato rinnovo di Neto). I rapporti mai troppo limpidi con gli allenatori e le loro ambizioni (la guerra di comunicati con Montella o le diverse visioni sulla cessione di Savic tra società e Sousa). Il funzionamento di una squadra di mercato fatta da troppe teste con troppe poche responsabilità, pochi schemi, e ancora meno ruoli precisi (tanto da far arrivare Salah pur di vendere al meglio Cuadrado, mettendo in secondo piano i cavilli burocratici del contratto dell’egiziano e le trattative praticamente già chiuse per Ocampos, portate avanti da Pradè e Macia).
ERRORI IN SERIE - Errori ripetuti in serie, figli di un convincimento che “in Fiorentina” (come spesso si ama dire dalle parti del Viale Fanti) tutto debba continuare a funzionare in questo modo. Con il passato di questo club che non sembra esistere. Con la proprietà lontana, sempre meno coinvolta, quasi sempre pronta solo a rigettare le critiche senza volerne capire i motivi alla base. Con la squadra che molla in assenza di obiettivi perché non guidata, raramente protetta dai rumors di mercato, e praticamente mai stimolata a dovere da società e dirigenza. Che, anzi, è spesso finita in balìa di eventi rocamboleschi (che il più delle volte comportano la presenza di avvocati) e clamorosi colpi di scena in negativo (da Milinkovic Savic a Mammana il passo è breve). Con un ramo marketing che da anni continua a rincorrere vanamente altri introiti oltre uno sponsor da piazzare sulle maglie, senza provare a limare i noti problemi di bacino d'utenza e diritti tv.
DISAFFEZIONE DILAGANTE - E con il tecnico che, capita l’antifona, cambia atteggiamento e comincia a guardarsi intorno per cercare nuovi lidi. Particolarmente intorno, almeno a giudicare dalle recenti voci sullo Zenit alle quali sono da aggiungersi quelle sulla Juventus. Nulla di illegittimo, per carità, ma forse sarebbe stato più coerente prendere subito le distanze dopo i disastri del mercato di gennaio, piuttosto che avviare il gioco del totoallenatore a suon di battute taglienti, cene e contatti con altri club. Una situazione che, in sostanza, non farà altro che alimentare ulteriormente la dissaffezione dei tifosi ormai dilagante. Tifosi che vorrebbero semplicemente tornare a vivere un sogno, a sentirlo possibile, a tifare per una squadra e per una società che lottano convinti per quello stesso sogno, senza mollare di un centimetro, proprio come sta accadendo in quel di Leicester. Una favola che fa bene al calcio e ai sogni di tutti i tifosi, che non meritano che le proprie ambizioni siano sempre stroncate sul nascere o, come nella Firenze degli ultimi anni, col primo sole di primavera.