SEEDORF, Il calcio? Mercato di carne
Clarence Seedorf, sei lingue fluenti («inglese, italiano, olandese, spagnolo, portoghese e surinamese, che non è il creolo: quello lo capisco, ma non lo parlo»), consulenze all’Università Bocconi e un curriculum sportivo lungo così, non ha problemi a impegnare i tempi morti: ha disegnato linee di gioielli, ha posseduto un team motociclistico, ha fatto l’editore ed è l’unico calciatore al mondo ad aver vinto quattro Champions League, con tre maglie diverse: Ajax, Real Madrid e, ovviamente, le due col Milan. Seedorf è anche Ambasciatore Expo («il Suriname ha votato per Milano») e in un’intervista l’olandese dichiara che «quando venne ucciso Gabriele Sandri, sono stato l’unico di tutto il campionato a non indossare la fascia nera del lutto ma non certo per mancanza di rispetto. Quando andammo in campo non si sapeva nulla: chi fosse, che cosa fosse successo. Niente. E se, per caso, fosse stato un mafioso?». «Rispetto ogni essere umano, ma non do la mia solidarietà a un assassino. Invece, il mondo del calcio ci riversò addosso la responsabilità di un evento che non c’entrava nulla di nulla col calcio. Quello delle autorità calcistiche fu un atto di paura, con copertura politica. Una settimana dopo, la fascia l’ho messa. Ma ancora nessuno m’ha spiegato perchè non ce l’hanno fatta indossare quando è mancata la signora Prandelli».
«Io divento matto, quando vedo certe cose - continua l’olandese -: perchè non abbiamo espresso solidarietà a un allenatore di serie A? O per la morte atroce del fratello di Kaladze, che è stato sequestrato per anni? Niente, non s’è fatto niente... Per Sandri sì, che aveva come unico coinvolgimento col nostro mondo quello d’essere tifoso».
Il giocatore del Milan non risparmia certo le critiche al mondo di cui comunque fa parte, e che lo ha reso ricco.
Per lui il sistema-calcio «è come il mercato della carne: non credo che ci sia la consapevolezza della realtà, ma basta astrarsi un pò e si coglie subito la sostanza». «C’è un pezzo di carne d’Argentina, che è buonissimo e molto richiesto - continua Seedorf - e lo vendo in Italia, poi lo esporto in Spagna, in Inghilterra. Lo vendo dove mi fanno la miglior offerta. Non importa se dove lo mando sia il posto giusto per il suo talento: comandano solo i soldi. Non m’importa di seguirne l’ambientamento, di verificare se si integra, lo lascio solo al suo destino. Questa è la mentalità che regge il sistema calcio».
Parole che farebbero pensare a un Seedorf stanco di fare il calciatore, invece «io fino a 35-36 anni gioco, e voglio andare agli Europei e ai Mondiali 2010. Poi farò quello che mi farà più piacere. Credo che investirò tante energie nella mia fondazione “Champions for children”. Inoltre il legame col Milan è importante: abbiamo già parlato del dopo, ma mancano ancora, come minimo, quattro anni».
La stampa non è mai stata tenera con il milanista, quella olandese in particolare. «Nonostante il sistema, sono vivo - commenta Seedorf -. Ma quelli che non hanno avuto la mia forza o la mia testa sono stati buttati fuori».