SANTANA, Abituato ai fischi. Prometto più gol

11.10.2008 09:16 di  Redazione FV   vedi letture
Fonte: La Nazione
SANTANA, Abituato ai fischi. Prometto più gol
FirenzeViola.it

La Fiorentina è un posto affollato e Santana se la cava bene nel pigiapigia, infatti ha diviso lo spazio con cinque sorelle e tre fratelli, una minitribù argentina che vive a Comodoro Rivadavia, provincia di Chubut, ai piedi del Cerro Chenque in Patagonia. Via serena laggiù? Pare di sì. Commerci e petrolio. C’è un gasdotto lungo quasi milleottocento chilometri che porta l’energia a Buenos Aires, a Comodoro abitano centotrentamila persone, si vive di commercio, l’oro nero non manca e il mare invece è blu. Santana sorride, forse in quest’intervista non si parla di calcio, o forse sì, ma intanto l’inizio non sembra male: «Io e i miei fratelli siamo nati tutti in fila, io sono il secondo della lista. Mio padre e mia madre hanno 47 anni, ancora giovani no?, lei non lavora e lui ripara gli impianti di illuminazione per le strade, insomma non fa l’elettricista semplice. L’ultimo figlio è nato un po’ dopo, ha dieci anni, secondo me è parecchio bravo a giocare a calcio. L’ho visto l’ultima volta che sono stato in Argentina, mi ha stupito». I fischiatori a prescindere — quelli che ce l’hanno con Santana — aggiungerebbero che forse il fratello decenne gioca meglio di quello ventisettenne, ma di questo e altro parleremo dopo. Ora Santana è in versione familiare, sua moglie Antonela (una elle sola) partorirà lunedì il secondogenito Mathias: «Ho già una piccola di due anni, si chiama Mia. La nascita del secondo è stata programmata, mia moglie non ne può più di aspettare».
Ora dovremmo parlare anche un po’ di calcio.
«Va bene. Ma, per favore, non della storia degli infortuni. Sono davvero un caso chiuso, diciamo che ho già dato. Anche se, ripensandoci...».
Non dica che le sono serviti a qualcosa.
«Questo no, ho passato davvero brutti periodi. Ma quando ho recuperato mi sono allenato duramente, ho migliorato la resistenza fisica, ho imparato che bisogna aiutare i compagni. Sempre. Cerco di farlo vedere in campo».
Per questo Prandelli la farebbe giocare sempre: un laterale offensivo che pensa anche alla difesa.
«E’ vero che mi guardo sempre le spalle, cerco di pensare all’equilibrio della squadra. E’ vero anche che ho perso qualcosa nella fase offensiva, devo essere più cattivo. Ma ci sono quasi, sto arrivando».
Anche se qualche tifoso continua a fischiarla.
«Succedeva anche a Palermo, ci sono abituato. Contento no, abituato sì. Ma chi gioca nel mio ruolo deve inventare, prendersi dei rischi, sennò non si fa nulla d’importante. C’è una differenza rispetto al passato».
Quale?
«Prima mi demoralizzavo per i fischi e avevo paura di sbagliare, ora ci provo ancora».
Sette gol l’anno scorso: numero irraggiungibile?
«E perché? Anzi dico una cosa: sono sicuro che ne segnerò di più».
Cos’è, una promessa o una speranza?
«Io ci credo davvero. Devo solo sbloccarmi là davanti, fisicamente sto bene, è solo una questione di testa...

Comunque certe volte sono troppo altruista, devo essere più cattivo, far male negli ultimi metri».
Sempre da esterno destro comunque.
«Beh sì, anche se giocare da interno a centrocampo mi piace. Ma lì siamo davvero in tanti».
E da trequartista?
(ride) «E’ il terzo ruolo in pochi secondi, forse uno bene mi riuscirà».
Altro argomento: lo sfogo di Prandelli, le sue parole sulla divisione fra vecchi e nuovi.
«La verità? Io sono rimasto un po’ sorpreso. Non credevo ci fossero problemi nello spogliatoio, ma quando parla lui c’è un motivo. I risultati poi sono arrivati, forse le sue parole ci hanno fatto svegliare. Ma fra noi non ci sono mai stati problemi, lo ripeto».
Le voci non mancano, né sono mancate. Ne parlate nello spogliatoio?
«Eccome... Le ripetiamo fra noi e ci ridiamo sopra. Per questo dico che siamo un gruppo forte».
E come ne parlate? Ci faccia qualche esempio.
«A volte attacchiamo al muro gli articoli di giornale e aspettiamo il destinatario per prenderlo in giro. Volano le battute. Anche perché dentro lo spogliatoio sappiamo tutto quello che succede fuori, cioè niente di particolare».
Ci permetta di dubitarne...
«E’ sempre la solita storia: quando una squadra vince non ci sono problemi, se perde cominciano a nascere le storie sui giocatori che fanno questo o quest’altro... E tutti subito pronti a crederci, le novelle diventano in fretta leggende».
Santana ha la cittadinanza, ma può giocare con la Nazionale Argentina.
«Eh, diciamo che potrei. Sarà dura. Però sette presenze le ho fatte».
Chi è il migliore fra i giovani, magari sconosciuti?
«Un nome ce l’ho: Pablo Barrientos, gioca nel San Lorenzo. Ventitré anni, è fortissimo, gioca a centrocampo e può fare anche l’esterno. Non ha testa però, è sempre rimasto nel San Lorenzo».
Santana la testa ce l’ha: via da casa a vent’anni per giocare nel Venezia, poi Palermo, Chievo, ancora Palermo, poi Firenze.
«Pensavo di tornare in Argentina dopo il calcio, ma la famiglia ti cambia le prospettive. E ora sta per nascere Mathias».
Santana uomo: pregi e difetti.
«Di solito riesco a ottenere quello che voglio solo con la mia forza di volontà. Il difetto principale è che sono orgoglioso e tengo tutto per me, non so condividere i problemi».
Ce ne sono stati magari leggendo qualche pagella.
«No di sicuro, io non leggo i giornali, potresti anche avermi massacrato e non lo saprei...».
Buono a sapersi per il futuro.
«Ok, tanto non leggo i giornali. Ma quando esce questa intervista? Così magari gli dò un’occhiata».